Al processo sullo scoppio del metanodotto la parola ai periti dell’accusa

I tempi della giustizia si stanno allungando e per qualcuno il processo non arriverà in Cassazione...

 Il giudice Giovanni Sgambati in aula in Tribunale a Massa (foto di repertorio)

Il giudice Giovanni Sgambati in aula in Tribunale a Massa (foto di repertorio)

Massa, 27 giugno 2017 - E’ ancora lontana la sentenza del processo in corso in Tribunale a Massa per lo scoppio del metanodotto di Barbarasco. Ieri mattina, davanti al Giudice Govanni Sgambati si sono seduti i consulenti tecnici del Pubblico Ministero. Un ruolo difficile, il loro, in quanto hanno dovuto presentare i risultati delle perizie eseguite su quanto restava in quel terreno in comune di Tresana devastato dal rogo. Ma i mezzi meccanici, la centralina del metanodotto in località Mulino e il tubo dove scorreva il gas sono rimasti esposti per ore a un calore violentissimo che ha letteralmente scorticato il terreno per centinaia di metri. In mano ai periti, di conseguenza, sono rimasti non moltissimi dati, forse meno di quanti l’accusa sperasse.

A luglio ci sarà una nuova udienza ma i tempi si stanno allungando. Il processo è iniziato il 19 novembre 2015. Il rogo mortale (con una fiammata alta decina di metri visibile in tutta la Lunigiana) si accese il 18 gennaio 2012. Una tragedia che costò la vità a un giovane operaio nato in Bulgaria e fece diversi feriti (con varie ustioni). Venne devastato un pezzo della Lunigiana, con case divorate dalle fiamme, vigneti e pollai ridotti in cenere.

Sotto accusa sono finiti in sette, tutti manager Snam, più due tecnici della ditta che faceva i lavori presso la centralina del metanodotto. Le accuse variano da omicidio colposo a lesioni colpose, passando per disastro colposo e incendio. Senza dimenticare l’ipotesi di violazione delle norme per la sicurezza su lavoro. Dati i tempi, per qualcuno il processo non arriverà in Cassazione...