Giubilaro e il far west del marmo. «Sanno in anticipo dei controlli»

L’allarme lanciato dal procuratore di Massa davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta

 Le cave di marmo sono state al centro dell’incontro tra la Procura di Massa e la commissione parlamentare d’inchiesta

Le cave di marmo sono state al centro dell’incontro tra la Procura di Massa e la commissione parlamentare d’inchiesta

Massa, 14 settembre 2017 - Le cave come il Far West: lì la legge la fanno gli imprenditori e ogni controllo viene vanificato dall’omertà e dalla collaborazione di chi ci lavora. «Quando si comincia a salire per le rampe, giù in fondo, ai primi tornanti su (ossia nei piazzali di cava ndr) già sanno quello che sta arrivando. Come i vecchi Sioux, i vecchi cowboy. Su a quel punto tutto il resto sparisce immediatamente, come d’incanto». E’ un quadro frustrante quello in cui si trovano ad agire la Procura e la polizia giudiziaria così come dipinto dal procuratore Aldo Giubilaro e dal sostituto procuratore Alessia Iacopini alla Commissione parlamentare di inchiesta il 16 febbraio.

«Quello delle cave – dichiara Giubilaro – è un mondo chiuso. Normalmente i titolari delle aziende per una serie di motivi vecchi, ormai incancreniti sul territorio, le gestiscono come se fossero delle cose del tutto private e personali». Qualcosa è cambiato negli ultimi anni, da quando la Procura, su input di Giubilaro, ha dato via a una sorta di campagna contro le cave: «Fino a circa due anni fa i controlli erano uno forse due per cava ogni 5 anni. Non c’era sensibilità, voglia di fare controlli da parte del Comune. Quelli a posteriori erano quasi inesistenti». Risultato? «Su alle cave, venendo ai rifiuti, c’è tutto. Tranne gli omicidi volontari, ci sono forse delle violenze, poi c’è ogni cosa».

Si prova quasi un senso di impotenza anche per l’approccio che dimostrano le istituzioni preposte ai controlli e alle autorizzazioni: «Un approccio un po’ accomodante, un po’ condiscendente, tanto che certe richieste da noi fatte di recente sono rimaste ferme». Il paragone arriva dal porto: lì un sequestro della Procura costrinse i privati a mettersi in regola nel giro di 4 mesi.

Un’azione simile, sequestro per abbandono e inquinamento da marmettola, fu proposta anche per le cave: «Il Gip ci ha negato il sequestro. Anche il riesame non l’ha accolto. Nel massimo rispetto per l’intelligenza dei colleghi, del giudicante, le motivazioni ci fanno un po’ intuire – non ho nessun motivo per poterlo affermare con assoluta certezza – che ci sia una forma di accondiscendenza. Probabilmente non c’è sufficiente, adeguata, anche per quanto riguarda altri componenti del mondo della giustizia, sensibilità e conoscenza specifica del problema».

Tra i motivi era stata contestata la mancata caratterizzazione del rifiuto. La marmettola è uno dei temi chiave nella gestione dei rifiuti di cava: «Abbiamo accertato – sottolinea Iacopini – che viene di fatto abbandonata in cava o, in alternativa, riutilizzata ad esempio per costruire dei cordoli che hanno poca tenuta o per costruire letti per l’atterraggio dei blocchi».

Ma quando piove viene trascinata via e si disperde nell’ambiente. E’ questo il problema: se è concesso il riutilizzo della marmettola in cava, non può essere considerata rifiuto e, pertanto, la Procura non può agire. «Per dire che c’è l’effettivo abbandono o una discarica dovremmo essere in grado di dire che quella marmettola viene abbandonata in modo stabile, cioè non più recuperata».

«Non può essere consentito un riutilizzo che esenta da responsabilità» ha chiarito il procuratore che ha poi dato le basi alla Commissione per affrontare il tema: «Nelle cucine dei ristoranti la sera deve essere tutto pulito. Nelle cave, una volta finita la lavorazione del giorno, a sera deve essere tutto pulito». Un esempio calzante per cercare di mettere un freno al Far West delle cave dove, fra rifiuti, vincolo idrogeologico, sismico, urbanistico o paesaggistico, «i possibili reati sono circa 35, previsti da tutte le norme possibili».