«E’ lui che ha ucciso mio padre». Il figlio di Taibi testimone in aula

Il ragazzo punta l’indice contro Roberto Vignozzi. «L’imputato era capace di intendere»: no alla perizia psichiatrica

Roberto Vignozzi

Roberto Vignozzi

Carrara, 2 dicembre 2016 -  Il figlio di Antonio Taibi testimone nel processo che vede Roberto Vignozzi imputato come killer del padre. «E’ lui che ha ucciso mio padre». Con una lucidità da adulto, il figlio adolescente del maresciallo Antonio Taibi, ucciso lo scorso 27 gennaio con un colpo di pistola sparato da Roberto Vignozzi, ha riconosciuto in aula, senza esitazioni, l’assassino del padre. Insieme alla madre Maria Vittoria Mari, ha riferito le ultime parole del padre con il suo assassino, il primo testimone della lunga lista prodotta dal pubblico ministero Alberto Dello Iacono, ieri in tribunale nel processo a carico del postino. Una lunga seduta in cui il pm ha prodotto gli atti su cui si giocherà l’accusa, e che ha visto la bocciatura da parte del collegio giudicante, presieduto da Giovanni Sgambati, della richiesta dell’avvocato della difesa, Enrico De Martino, che ha tentato la carta della perizia psichiatrica. Vignozzi era capace di intendere e di volere quella fredda mattina del 27 gennaio, quando uccise il maresciallo dei carabinieri, secondo lui responsabile della condanna del figlio Riccardo, per una partita di 500 pasticche di extasi. Una mattinata  incandescente, che si è aperta con il sorriso strappato a Roberto Vignozzi dal figlio Alessandro in aula per seguire il processo del padre. «L’ha combinata grossa – dichiara il giovane –. Speriamo almeno in una pena ai domiciliari». Il resto è affidato all’avvocato De Martino che ieri si è visto bocciare ogni istanza, compresa quella perizia psichiatrica che avrebbe potuto fare, secondo lui, la differenza. Si è opposto alla richiesta di una perizia anche l’avvocato di parte civile Riccardo Balatri il quale ha fatto presente che non esisteva alcuna patologia prima del delitto che potesse far ipotizzare una incapacità di intendere di Vignozzi. «Non solo – ha aggiunto Balatri – la lettera di scuse ai familiari scritta dallo stesso imputato dimostra come avesse ben presente quanto era avvenuto e il delitto di cui si era macchiato». Intanto dalla difesa si è defilata l’avvocato Francesca Turitto «per divergenze sulla linea difensiva», proprio per quella perizia che lei non avrebbe mai chiesto. Davanti alla corte d’assise 16 dei 28 testimoni della pubblica accusa, che hanno ricostruito la mattinata del 27 gennaio scorso, quando alle 7 del mattino Vignozzi si presentò davanti alla porta di Taibi con una pistola in pugno. La moglie, Maria Vittoria Mari, che a ogni udienza vede rinnovare un dolore lacerante, con la consueta compostezza, ha ripercorso quei tragici attimi, la conversazione al citofono, la discesa del marito e il colpo di pistola La seconda udienza del processo si è aperta con l’ammissione del giudice a latere Alessandro Trinci, per il quale la difesa aveva sollevato eccezione di incompatibilità poiché aveva firmato la condanna di Riccardo. Di seguito l’intervento del pubblico ministero che ha prodotto gli atti che faranno parte del processo: dal referto medico agli atti di polizia giudiziaria sull’esame dello stube sull’arma, gli indumenti di Vignozzi sequestrati, l’esame esterno del cadavere, l’attività di ricerca del bossolo, gli atti e la sentenza dei procedimenti a carico dei figli di Vignozzi, che costituiscono il movente dell’uccisione. Fra gli atti del pm anche la lettera dallo stesso imputato che lamentava la condanna dei figli, nonché la successiva sentenza di condanna di Riccardo Vignozzi che dopo l’omicidio aveva opposto resistenza ai carabinieri che lo avevano preso conu na modica quantità di droga. Ancora la lettera con cui Roberto Vignozzi aveva chiesto scusa ai familiari della vittima, nonché conversazioni e intercettazioni di Vignozzi.