Disastro del Carrione, gli indagati salgono a sette

I dirigenti della Provincia Gianluca Barbieri, Giovanni Menna e Marina Tongiani e gli imprenditori Diego Tognini e Giulio Alberti si aggiungono a Stefano Michela e Franco Del Mancino

L’ingegner Stefano Michela sul luogo del disastro il giorno stesso del crollo avvenuto il 5 novembre

L’ingegner Stefano Michela sul luogo del disastro il giorno stesso del crollo avvenuto il 5 novembre

Carrara, 25 marzo 2015 - NUOVA ondata di indagati per il crollo dell’argine del Carrione avvenuto lo scorso 5 novembre che provocò l’alluvione di Marina di Carrara e danni per oltre cento milioni di euro. Altre cinque persone sono state raggiunte da un’informazione di garanzia firmata dal procuratore Aldo Giubilaro: si tratta del dirigente della Provincia Gianluca Barbieri, della responsabile del Servizio patrimonio dell’ente Marina Rossella Tongiani, dell’ex dirigente alla difesa del suolo Giovanni Menna, del titolare della ditta costruttrice Elios srl di Aulla Diego Tognini e del geometra Giulio Alberti, marchigiano, direttore tecnico del cantiere dove avvenne il crollo. Nel mirino della procura oltre al progettista dell’opera, l’ingegner Franco Del Mancino, finì subito l’allora dirigente ai lavori pubblici e alla difesa del suolo Stefano Michela. Il suo collega Gianluca Barbieri (ora al settore Agricoltura e foreste) ricoprì l’incarico di dirigente al suolo dal 31 dicembre 2010 al 31 gennaio 2011 e firmò alcune determine sui lavori effettuato sull’argine incriminato. Ci fu anche un intervento di somma urgenza: il 9 luglio 2010 il dirigente Barbieri sottoscrisse la determina di liquidazione di 60.434 euro relativa al secondo stato di avanzamento dei lavori, nei confronti della ditta Elios srl di Aulla. Ciò a seguito di un verbale di somma urgenza redatto dall’ingegner Michela la cui perizia per l’intervento sul tratto corrispondente al V lotto stralcio C Carrione (praticamente a valle del ponte di via Covetta) prevedeva una somma complessiva di 241.741 euro. L’Autorità di bacino Toscana Nord il 23 aprile 2009 aveva dato parere favorevole per l’utilizzo dei fondi annualità 2003 “Sistemazione idraulica del torrente Carrione IV lotto”. Il genio civile aveva poi erogato il 90% delle economie utilizzate per l’intervento: 217.567 euro. Lo stesso Barbieri il 19 luglio 2010 liquida 127.267 euro alla ditta Socodap (estranea all’indagine) con sede in via Cavallotti a Marina di Carrara richiamando una determina dell’8 novembre 2006 esecutiva con cui si affidavano i lavori di sistemazione idraulica del Carrione nel tratto tra la sezione 27 bis e 38 (ancora l’area a valle del ponte della Covetta) per un importo complessivo di 467.632 euro. Altra determina a firma di Barbieri del 28 settembre 2010 per i lavori nel tratto tra la sezione 33 ter e 36 bis V lotto stralcio B (l’area del crollo) per lavori di sistemazione idraulica per 408.071 euro affidati alla ditta Giovannini costruzioni di Narni (Terni).

Ai sette indagati, la procura contesta i reati di crollo di costruzioni o altri disastri dolosi, delitto colposo di danno e frode nelle pubbliche forniture. Giovanni Menna, ora in pensione, tra i sedici imputati nel processo sullo scandalo del Cermec (è accusato di abuso d’ufficio per aver concesso l’autorizzazione per la costruzione dell’impianto ErreErre) e rinviato a giudizio per l’alluvione del 25 ottobre 2011 di Aulla, era alla guida anche lui del settore difesa del suolo della Provincia mentre Marina Rossella Tongiani per circa sei mesi è stata responsabile unica del procedimento relativo ai lavori sul fiume Carrione dove avvenne il crollo. La procura sospetta che i lavori di messa in sicurezza siano stati suddivisi in dieci e più lotti per evitare la gara pubblica, per consentire che il certificato di collaudo fosse sostituito da quello di regolare esecuzioni, previsto dal codice degli appalti per opere di importo fino a 500mila euro.

Il collaudo statico dell’argine crollato non era stata poi neppure eseguito e c’è anche un altro filone di indagine che ruota attorno all’assegnazione dei lavori sempre alle solite ditte. E una terza indagine è relativa ai bandi di gara, ai capitolati non rispettati, ai controlli all’acqua di rose che hanno originato il sequestro degli argini del fiume per 4 chilometri, dalla foce fino al ponte di Sant’Antonio.