Made in Florenz

L'editoriale del Direttore de La Nazione

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

Firenze, 25 gennaio 2015 - Vallo a sapere che cosa ha prodotto il vertice Renzi-Merkel sul fronte dell’economia, al netto degli slogan inteccheriti sulla bellezza, sulla fiducia nelle riforme dell’Italia e sul motore turbo da accendere. Probabilmente nulla che ci cambi la vita. L’unica certezza è che l’argomento che più ci premeva è rimasto a galleggiare: il «Made in», cioè la possibilità per i prodotti italiani di ottenere un riconoscimento europeo di tutela sul mercato, ha fatto sbattere all’Italia la testa contro il muro tedesco. Destinazione piuttosto frequente per chi prova a mettersi contro la Germania. Del resto anche ieri, mentre frau Angela distribuiva pacche sulle spalle a Renzi e, idealmente, al genio fiorentino dell’arte, e muoveva lo sguardo estasiato davanti al David e allo spettacolo con vista dal Corridoio Vasariano, a Berlino il presidente della Bundesbank schiaffeggiava con la solita sicumèra il piano di Draghi, perché troppo benevolo nei confronti di Italia e Francia. Peccato che il «Made in» per ora resterà nei desideri dei poveri imprenditori, appeso al risultato di uno studio, chiesto dalla delegazione tedesca, sul costo e sull’impatto che avrebbe per le imprese.

Peccato perché anche Renzi sa bene che il timbro europeo sulle nostre eccellenze, in primo luogo la moda, metterebbe - quello sì - il turbo alla nostra economia. Ma che l’Europa a trazione tedesca ci guardi di traverso non è una novità, e la difficoltà di assecondare gli interessi nazionali è una delle controindicazioni non considerate dall’idealismo dei padri fondatori. Di buono c’è che gli imprenditori tedeschi in Italia (Bmw, Bosch, Bayer, Deutsche Bank) hanno parlato bene di noi alla cancelliera e lei ha rivelato la loro intenzione - almeno a parole - di ricominciare ad assumere. Riponiamo quindi i trionfalismi e procediamo a piccoli passi, misurando gli auspicati progressi giorno per giorno. C’è però un successo indiscutibile che il vertice italo-tedesco consegna in eredità, cioè il «Made in Firenze». Ieri un dirigente di categoria dei commercianti, che non può essere sospettato di «renzite», ci ha scritto: «Al di là dei risultati politici del vertice, Firenze ha vinto. La grande bellezza della nostra città è andata in scena a livello globale e questo, in prospettiva, è un grande valore economico e turistico».

Che Firenze si sia vestita da capitale è una certezza. E non solo per un giorno, del resto non è casuale la ricorrenza storica che celebra quest’anno i 150 anni di quando la città divenne capitale, sia pure provvisoria, d’Italia. Il federalismo renziano («La capitale è qui...») ha esaltato l’eccitazione fiorentina e contemporanemente depresso l’alterigia romana, tanto che il presidente dl Pd, Matteo Orfini, ha replicato all’orgoglio del «capo» con un acidulo twitter: «Nun t’allargà». Rimandando alla partita di calcio di stasera, per l’appunto Fiorentina-Roma, il ripristino delle gerarchie. Almeno quelle sportive. Senza cadere preda di provincialismi bacchettoni, si può affermare che lo spot ha messo in moto ottimismi sconosciuti per un popolo notoriamente votato alla diffidenza planetaria: Firenze ringrazia ma è un benefit che potrà essere esteso ad altre città che costituiscono la cartolina del Paese. E’ il nostro patrimonio, la principale risorsa della “Casa“, il «Made in» che nessuno ci può togliere, eppure mai abbastanza tutelato: imparare a valorizzarlo sarebbe un merito fino ad oggi poco praticato. E anche un nuovo inizio.