Mensa per chi non arriva a fine mese

Nella struttura di S.Concordio crescono le persone in cerca di un piatto caldo

PREPARATIVI Volontari della Comunità  di Sant’Egidio apparecchiano le tavole a San Concordio

PREPARATIVI Volontari della Comunità di Sant’Egidio apparecchiano le tavole a San Concordio

Lucca, 14 novembre 2014  - LA SALA refettorio non basta più. E allora, per servire la cena, si è approntata anche la sala-teatro della parrocchia di San Concordio. Qui, ogni giovedì sera, si ritrovano almeno in quaranta per assaporare un piatto caldo che la Comunità di Sant’Egidio sforna, a proprie spese, ormai dal 2001. Ma, nel frattempo, è cambiato tutto. Quello che era un servizio a beneficio di segmenti limitati della nostra città, sta diventando una vera e propria drammatica emergenza. Emergenza che parla tante lingue, tra le quali l’italiano assume via via un peso maggiore. Qui si parla italiano, eccome.

LA POVERTA’ parla sempre più italiano. Un terzo di coloro che si rivolgono qui come altrove sono connazionali, un numero che raggiunge circa la metà tra coloro che non consumano un pasto ma che dalla Comunità ricevono un pacco alimentare. Una volta con cadenza settimanale, ora quindicinale. Una marea montante, come conferma una volontaria. «Sono un numero crescente – spiega Sandra – e non riuscivamo a soddisfare tutte le esigenze, abbiamo dovuto ripiegare sulla distribuzione quindicinale di 60 pacchi alimentari. La metà sono italiani, gli altri stranieri, specialmente famiglie marocchine. Molti hanno perso il lavoro e non hanno, o non hanno più, una rete familiare in grado di ammortizzare il disagio. C’è gente che si presenta, specie d’inverno, perché o prende il pacco da noi oppure non paga le bollette per scaldarsi. E’ un fenomeno in preoccupante espansione e le prospettive sono tali da far perdere a molti di loro la speranza di un futuro migliore».

TRA CHI arriva a San Concordio, dopo un giro che settimanalmente li porta a Marlia, in via dei Fossi, a Vicopelago, alla ricerca ogni sera di un posto dove mangiare, facce di giovani e di persone di mezza età. Principalmente stranieri i primi, quasi tutti italiani i secondi, poche le donne. Tra i primi qualche faccia da bulletto, ma qui o si comportano bene o stanno fuori. «Cerchiamo di far capire loro – spiega Stefano – che ci sono regole e devo dire che in linea di massima le cose vanno bene. L’obiettivo è di regalare loro anche qualche momento di serenità. A Natale, come sempre, in San Pietro Somaldi, ci sarà il pranzo di Natale con 180 persone, volontari compresi: un’occasione per dire che siamo tutti una famiglia, quella umana».

A DARE manforte alla Comunità, complessivamente una quarantina di persone, anche alcuni studenti di Imt. La voglia di stare accanto a chi ha bisogno c’è, ma il fenomeno ha numeri che preoccupano. E storie che commuovono. «Lavoravo in un bar – spiega un italiano sulla sessantina – ho perso lavoro anche a causa di problemi di salute e ora è difficile, quasi impossibile trovarne un altro. Dove dormo? In un dormitorio e per i pasti mi sposto dove li offrono».

MA C’E’ chi dorme sul fiume, come un uomo di mezza età, originario di Lucca. «Lavoravo in cartiera – dice – ora sono ridotto a dormire sul Serchio, mi riparo come posso: aspetto una pensione per problemi di salute, ma anche con 300 euro al mese che posso fare? Sono italiano: che devo fare per farmi aiutare?”

AL TAVOLO c’è anche una signora avvolta in un copricapo: non è italiana, ma qui è arrivata trenta e passa anni fa. «Vengo dalla Somalia – spiega – ho lavorato come badante, alternando periodi di disoccupazione a impieghi, ora vivo come posso, contando anche sulla solidarietà di alcune persone del mio Paese che sono da queste parti».