"Mi portò in auto e mi violentò". Condanna mite per un giovane

Il giudice applica la pena minima. Si erano conosciuti la sera al pub

Lei lo aveva baciato nel locale e l’aveva seguito in auto, ma non voleva avere un rapporto sessuale

Lei lo aveva baciato nel locale e l’aveva seguito in auto, ma non voleva avere un rapporto sessuale

Lucca, 16 maggio 2017 - DUE ANNI e quattro mesi di reclusione per violenza sessuale, più 30mila euro di risarcimento danni alla parte civile. Questa la pena inflitta ieri in rito abbreviato dal gup Antonia Aracri ad un 29enne lucchese accusato di aver abusato di una ragazza che all’epoca dei fatti ne aveva 22, assistita dall’avvocato Gianfelice Cesaretti. Il pm Giuseppe Amodeo nell’udienza celebrata a porte chiuse aveva chiesto per lui una condanna a 2 anni e 2 mesi.

IN SOSTANZA il gup ha in buona parte tenuto conto della tesi della difesa, sostenuta dall’avvocarto Andrea Balducci, ovvero che ci sarebbe stato un parziale consenso da parte della vittima, sia pure poi ritirato. La vicenda, alquanto controversa, risale all’ottobre 2013. La violenza era stata compiuta in auto, dopo una serata trascorsa insieme in un disco-pub della Piana, dove i due si erano conosciuti.

AD INCASTRARE il giovane, nell’ambito dell’inchiesta condotta all’epoca dal pm Sara Polino che aveva affidato le indagini ai carabinieri di Borgo Giannotti, è stata anche la prova del Dna. Per venire a capo del rebus sono state necessarie lunghe e minuziose indagini, approdate poi in un incidente probatorio in tribunale, per il riconoscimento da parte della vittima. La ragazza infatti non conosceva neppure il nome del suo violentatore, incontrato poco prima nel locale.

QUELLA sera lei, 22enne, si trova insieme ad alcune amiche in un locale della Piana. Conosce un 26enne lucchese. Due chiacchiere, si piacciono. Dopo un po’ scatta anche qualche bacio. Lui la invita fuori «lontano dalla musica e da occhi indiscreti». Lei non è sprovveduta. Il parcheggio davanti al locale è ben illuminato e c’è tanta gente che viene e che va. La giovane accetta l’invito. Sono le 3 di notte. Ancora baci e abbracci, fuori però l’aria è gelata. «Saliamo in macchina», dice lui. Lei lo segue. Ma una volta dentro l’auto, lui accende il motore e parte, allontanandosi dal locale e dalle amiche di lei, nel buio della campagna. Una «trappola».

A LEI la cosa non va più. Prova a chiamare le amiche sul cellulare per chiedere aiuto. Ma riesce solo a comporre il numero senza poterci parlare. Loro però ascoltano frammenti di colloquio. Lui si ferma in un luogo isolato. A quanto pare la rassicura, ma poi torna alla carica. Restano per oltre due ore i auto e hanno un rapporto sessuale. Lei sostiene di essere stata minacciata. Lui nega. Sono quasi le 6 del mattino quando l’auto riparte e la lascia nei pressi del locale.

«SE DICI qualcosa a qualcuno ti ammazzo...». Quindi la fa scendere nel parcheggio e sparisce. Lei è sconvolta. Non conosce neppure il nome di quel ragazzo. Cerca le amiche e racconta tutto. Due ore dopo va in ospedale dove viene visitata e sostenuta dagli psicologi, secondo il protocollo del «Codice Rosa». Scattano le indagini dei carabinieri di Borgo Giannotti, diretti dal martesciallo Carlo Zingale. Pochissimi gli indizi: una descrizione del ragazzo e un modello di auto. Una Fiat 500, presente in circa 3.000 esemplari in Lucchesia. I carabinieri restringono il campo a 300 auto intestate a giovani. Poi si procurano Comune per Comune le foto dei proprietari. Formano un album fotografico dove la ragazza alla fine riconosce il suo violentatore. Allora i carabinieri, con uno stratagemma, lo avvicinano e si procurano un campione del suo Dna lasciato su un mozzicone di sigaretta. A Roma, il Racis dei carabinieri lo compara con i campioni presi dalle mutandine della ragazza. E’ lui. Scatta così la contestazione di violenza sessuale.