Pardini: "Vi racconto il mio Novecento"

"Grande secolo d'oro e di dolore": storie, personaggi e misteri in un linguaggio unico, sospeso tra moderno e arcaico

Vincenzo Pardini

Vincenzo Pardini

Lucca, 22 aprile 2017 - «Grande secolo d’oro e di dolore» (Il Saggiatore, pagine 356, 21 euro) è l’ultimo libro dello scrittore Vincenzo Pardini. Tante storie del Novecento, con ben 87 personaggi, come si legge nel titolo a tutta pagina della splendida recensione del severo critico Ermanno Paccagnini sul Corriere della Sera. In una Garfagnana tra realtà e magia si muovono uomini e animali segnati da un destino affascinante e misterioso, spesso crudele. L’autore è anche giornalista e collaboratore del Qn e della cronaca di Lucca della Nazione e ci parla di questo «Grande secolo». Un Novecento con due guerre mondiali e tragico per milioni di persone.

Raccontaci un po’ di te e di questo impegno nella scrittura con i romanzi che hai scritto più significativi.

«Ho poco da raccontare. Se non che ho iniziato a scrivere, con l’idea di ritrarre il mondo, fin da bambino. Molto di ciò che vedevo e udivo mi colpiva, e volevo impossessarmene. Iniziata la scuola, capii che la scrittura me l’avrebbe permesso.Ma a scrivere non si impara mai».

Che cosa vuoi dire con questo tuo ultimo libro?

«I libri nascono come vogliono; non sono io che li cerco, ma loro che vengono a me. Ed io altro non sono che una sorta di esecutore: racconto quello che mi danno. Vivo con essi giorno per giorno, fino ad esserne dipendente. Un servo della scrittura».

Perché hai scelto di nuovo la Garfagnana come scenario di tanti eventi e personaggi?

«Diceva Cechov, che uno scrittore deve raccontare ciò che conosce, ossia la sua terra. E’ quanto ho sempre cercato di fare. Media Valle e Garfagnana sono due terre stupende, piene di musica e di colore, non caso furono anche patria poetica di Giovanni Pascoli».

Tra tanti protagonisti perché ha un posto di rilievo Leonide?

«Perché Leonide è una veggente, una che dentro di sé vive di storie sue e di altri, e me le ha raccontate. Le ho voluto e mi vuole bene, come accadde con Jodo Cartamigli, pure lui narratore, sebbene di ben altre vicende».

Le storie, come diceva Leonide, sono necessarie alla vita, altrimenti è meglio tacere?

«Sì, le storie sono quelle ci fanno vivere. Senza di esse si scadrebbe nel vuoto, nella noia, nella disperazione. Non caso Dio ci ha dato la Bibbia, poi il Vangelo per meglio farsi capire».

Nella tua opera hai avuto presente «La Storia» di Elsa Morante che hai conosciuto insieme a Moravia?

«No, quando scrivo non tengo presente niente e nessuno. Sono un po’ come gli artigiani di un tempo. Lavoro con la materia che mi passa dalla mente».

Il tuo è un romanzo storico oppure solo di sentimenti e fatti di persone comuni escluse dalla Storia con la S maiuscola?

«E’ fatto di persone comuni che vivono nella Storia, o meglio la subiscono, nel bene e nel male. Cosa che accade anche a noi oggi».

Tutti sono affascinati dalla lingua del tuo narrare che è qualcosa di nuovo e di antico.

«Un giorno Enzo Siciliano e Alberto Moravia, mi dissero che mi sarei fatto molti nemici, proprio perché avevo un modo di narrare tutto nuovo. Ma io non detti peso alla cosa. Quello che mi è sempre interessato è di restare me stesso. Fare diversamente non potrei. Mi sentirei un ipocrita».

Infine parlaci un po’ della nostra città, Lucca,  che a volte non sa riconoscere i meriti di persone che valgono.

«Sì, è vero. E’ nella natura di questa città tralasciare le persone che valgono. Basta vedere cosa avviene con Puccini e gli altri musicisti, per non parlare degli scrittori: Cesaretti, Petroni, Tobino, Benedetti ecc. Alla cultura e alla letteratura si privilegiano denaro e intrighi vari. In questo Lucca è veramente all’avanguardia. E a me va benissimo così. Poca brigata vita beata, diceva Leonide».