Massacrò il padre a colpi di casco, chiesto il processo per omicidio

La Procura contesta i futili motivi al ventenne Andrea Gambino

L'ingresso della casa a Saltocchio e il 20enne Andrea Gambino

L'ingresso della casa a Saltocchio e il 20enne Andrea Gambino

Lucca, 31 marzo 2016 - Omicidio volontario aggravato da futili motivi. Questo il reato per cui la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio di Andrea Gambino, il ventenne di Saltocchio che nell’agosto scorso massacrò nel sonno il padre Giuseppe di 67 anni. Secondo il pm Lucia Rugani, il ragazzo agì in uno stato di alterazione psicofisica dovuta all’assunzione di droghe e alcolici. Era solo parzialmente in grado di intendere e di volere. Il giovane, reo confesso dell’atroce delitto, è ancora rinchiuso nel carcere di «San Giorgio» ed è difeso dall’avvocato Francesco Virgone. Il raptus, così aveva «spiegato» il ragazzo, sarebbe stato riconducibile al rancore che lui provava per il padre, ritenuto colpevole di aver maltrattato la madre Rossana e la sorella Rosalia, entrambe morte per gravi malattie poco tempo prima.

La ricostruzione di quella tragica notte del 17 agosto scorso è agghiacciante. Andrea Gambino sorprese il padre nel sonno nell’abitazione di via della Grotta 451 a Saltocchio e lo aggredì subito, cercando di strozzarlo. Non riuscendo nell’intento, afferrò allora il casco integrale da motociclista e lo colpì ripetutamente alla testa, causandogli gravissime lesioni alla testa: un’emorragia cerebrale e un vasto ematoma sottodurale. Un trauma cranico encefalico che ridusse subito in coma il padre. Giuseppe Gambino, trasferito d’urgenza all’ospedale di Cisanello, morì dopo un’agonia lunga venti giorni. L’uomo, 67 anni, pensionato dell’ex Italzinc di Ponte a Moriano non riprese mai conoscenza. Il figlio quella notte se ne era andato di casa verso le 4 cercando di sbarazzarsi del casco, per poi ritornare dopo poche ore e lanciare l’allarme al 118, inscenando una rapina da parte di sconosciuti: i soccorritori trovarono l’uomo che giaceva in una pozza di sangue. Una versione alla quale nessuno aveva però creduto. La ricostruzione dei fatti non tornava e il giovane crollò ben presto, ammettendo le proprie responsabilità. I carabinieri lo arrestarono il giorno stesso per tentato omicidio.

«Quando sono rientrato a casa la notte, mio padre russava. L’ho guardato e l’ho colpito ripetutamente con il casco. Dovevo farlo...». Questa in sintesi la spiegazione del suo atroce gesto fornita agli inquirenti. Un raptus covato a lungo, un rancore personale maturato dopo la perdita di sorella e madre in tempi recenti, attribuite nella sua mente allo stesso familiare. Quella sera Andrea era uscito a cena con un amico e dopo aveva proseguito la serata in un locale notturno di Lunata, rientrando verso le 3.30. Era in condizioni alterate, pieno di droga e alcol. E aveva dato sfogo a una violenza covata dentro. Inspiegabile, secondo i suoi amici, che lo descrivono come un ragazzo mai violento o aggressivo. Una ragazzo però solo con se stesso e quel lampo che ha accecato la sua mente.