Cristiano Tomei, chef stellato, è l'uomo 'Sky' per TV8: "Il cibo non è una barzelletta"

Sarà uno dei giudici per la sfida culinaria fra venti cuochi provenienti da tutta Italia nel programma condotto da Alessandro Borghese

Cristiano Tomei

Cristiano Tomei

Lucca, 16 ottobre 2017 - E’ cresciuto fra le strade di Viareggio, ha trascorso un’infanzia fra la cucina della mamma e le passeggiate sulle colline della Lucchesia con il nonno. Cristiano Tomei chef da stella Michelin conquistata a Lucca nel suo ristorante L’Imbuto è l’uomo “Sky” per Tv8. Con Alessandro Borghese alla guida, sarà giudice insieme a Gennaro Esposito per una sfida culinaria fra venti cuochi tradizionali provenienti da tutta Italia che gareggeranno a colpi di piatti tipici e genuini.

Chef, nuovamente in Tv qualcosa ci può anticipare? Non posso dire nulla, posso dire però che è un programma molto nuovo, diverso come approccio soprattutto nel modo di porsi al pubblico. I concorrenti sono dei professionisti, comunque è anche didattico. Noi italiani siamo degli stupidi, purtroppo abbiamo un male, che è il male più grosso, è l’ignoranza. Siamo in un vortice d’involuzione culturale che è assurda. La cultura non si conquista con le lauree ma è il tramando. Mio nonno era un contadino e sapeva la Divina Commedia a memoria. La cosa più grave è che ci siamo dimenticati anche le nostre origini culinarie. E’ un vuoto semplice da spiegare perché siamo passati, da “ si va a mangiar fuori” al “ si va nel ristorante gourmet, stellato”.

Allora cosa manca? Ci manca tutto quello che è nel mezzo. Ci manca sapere da dove si viene che è fondamentale. La cucina regionale è la base, è la base fortissima di aggregazione. Ci sono tanti piatti che variano da regione a regione, poi l’etimologia del piatto è la stessa. Noi siamo un popolo di bastardi, inteso come intreccio di etnie. Caciucco deriva dall’arabo kükük che vuol dire piccolo. Molte parole del dialetto napoletano derivano dallo spagnolo o dal francese. Nel nord lo strudel è un piatto di origine libanese. La pasta matta si fa in Libano in pasticceria. Nel nostro piccolo, cercheremo di fare questo. Credo che sia il momento di farlo perché ora c’è tanta confusione.

La cucina aveva bisogno della televisione oppure è la televisione che ha bisogno della cucina? E’ inutile fare gli ipocriti, la televisione alla cucina ha fatto bene, l’ha sdoganata. Se ne parla di più, anche se ora se ne parla troppo. La televisione ha avuto ad un certo punto bisogno della cucina, quindi ha bisogno di noi che facciamo da mangiare, ma ha bisogno soprattutto del pubblico che la guarda. Il problema è che ora la televisione è vista come la verità assoluta. Manca il senso critico, è scomparso l’approccio critico alle cose.Nel senso, riconoscere che “quella lì” è televisione. Le cucine non sono Masterchef, purtroppo alle volte si equivoca e si va verso quella direzione.

Voi cuochi avevate bisogno di uscire dalle cucine? Giù la maschera! Noi cuochi siamo tutti vanitosissimi. Se fai questo lavoro un po’ di compiacimento verso te stesso ce l’hai, altrimenti non lo fai. Caratterialmente c’è chi è più adatto, chi meno. Però, secondo me fa piacere a tutti. C’è chi la prende molto sul serio e c’è come chi dico io “ è molto più difficile prendersi poco sul serio che prendersi sempre molto sul serio”. Come nell’approccio alla ristorazione, secondo me è arrivato il momento di tirar fuori il coraggio cioè di avere uno stile ben marcato. Io mi arrabbio quando uno fa il cacciucco alleggerito. Per me non esiste, il cacciucco è un piatto che si fa per sfamarsi e non può esser leggero, e mi arrabbio per questo. Però è anche vero che siamo nel 2017 e i cuochi hanno il dovere di infrangere le regole e vuol dire aprire delle finestre che ti aprono mondi nuovi.

Detto così sembrerebbe una contraddizione  Il piatto che lei ora sta mangiando è di una semplicità estrema perché lì dentro ci sono io (Coniglio con acciughe, salsa di olive amare, salvia e crosta di parmigiano soffiato) Le acciughe sono le mie origini,Viareggio. Il coniglio mi ricorda mio nonno contadino, la salsa è quella della mia nonna. E’ un piatto che parla del territorio. Alla fine la mia è una cucina neoclassica che si attacca a quello che ha. La cucina alla fine è quello, non è altro. Mi dispiace vedere alle volte dei tentativi di complicarla o semplificarla troppo senza senso. Il pane da che mondo e mondo è un compagno di quello che si mangia non può essere un piatto. Non deve esser il protagonista altrimenti noi che facciamo da mangiare diventiamo ridicoli.

Però il pane con olio appena franto è buonissimo Lei viene da me perché vuole mangiare pane e olio? Parliamoci chiaro! Quello che mi fa arrabbiare è che in Italia siamo arrivati al punto che si dice che al panificio fanno il pane buono. Il panificio cosa deve fare, lo deve fare cattivo? Fa solo quello, quindi lo deve fare buono. In Italia un panificio deve fare il pane buono, punto e basta. Nelle pizzerie si trovano pizze gourmet, pizze di ogni tipo. Ma quante pizze ci sono? La pizza è pizza. Come se io le portassi un piatto di spaghetti con tre spaghetti. Il cibo non deve mai perdere la connotazione che ha. Come il sesso che ha lo scopo primordiale della riproduzione, poi lo fai per star bene. E’ un modo per conoscere gli altri, sembra strano ma è così. La mia cucina è uguale,  è “scopativa”.

Lei mi mette in imbarazzo Non sono mica parolacce? Le parolacce sono: cottura a bassa temperatura sottovuoto. Ma basta! Noi abbiamo il dovere di rispettare chi viene a mangiare nel nostro ristorante. Le nozioni si danno con la ricerca, io non devo fare annoiare quando una persona viene da me. Il cibo non è una barzelletta, è una cosa seria che deve passare come gioco. Quando si vede un film di Charlie Chaplin si ride, ma fa pensare. Monicelli con “Amici miei” ha fatto ridere ma quanto è malinconico, quanta vita vera c’è in quel film. Il cibo è la solita cosa, se perde quella connotazione diventa altro. E’ un po’ come quei ristoranti che sono aperti solo a cena.I ristoranti sono aperti a pranzo e a cena altrimenti sono posti dove si va a mangiare.

Raviolo ripieno di panna servito sul fieno. Dobbiamo essere educati a ingredienti inusuali? Il fieno è un profumo, un odore che inconsciamente abbiamo nel DNA. Un po’ come la corteccia. Non c’è nulla di nuovo, in cucina non s’inventa nulla. Si gioca su quello che si conosce, si cerca di essere evocativi tirando fuori i ricordi ancestrali che abbiamo tutti, come gli animali. Sembra strano ma è così! Quello è un piatto che vive di un paradosso. In cucina ci sono delle regole però uno che cucina, non che fa da mangiare, ma cucina, ha il dovere ogni tanto di sovvertirle. Il cuoco ha il dovere di osare al servizio degli altri, non al servizio di se stesso. Un piatto, come quello, va mangiato con il naso, con gli occhi, deve coinvolgere. Un piatto deve stimolare.

Un cibo buono per diventare un’opera d’arte cosa deve avere? Opera d’arte no ma artigianato ben fatto sì! La forma nei cibi è fondamentale. La cucina tradizionale è fatta di forme. Il tortellino ha una sua forma. Non si può mettere il ripieno di un tortellino e metterlo in un raviolo. Ribalta la materia prima che abbiamo usato. Il cibo è artigianato, ha il pregio che può dispensare felicità, ti può fa star bene. Non so dire la differenza, quando faccio un piatto continuo a divertirmi. Non penso di fare un piatto super buono, faccio un piatto e basta.

Abbiamo promosso la cucina in Italia, siamo bravi nel divulgarla all’estero? Non sempre siamo stati bravi nel divulgare in Italia la nostra cucina. All’estero? No. Non siamo bravi e lo spiego con un esempio molto semplice. Quando andiamo in giro per il mondo il Parmigiano lo chiamano parmesan cheese. Questo motivo è sintomatico. Io mi chiamo Cristiano Tomei non Ctristian Tomeis. Una ricetta se ha il Parmigiano lo traducono in parmesan cheese, e non va bene. Ha mai sentito tradurre il nome “Brie”? Ecco, noi dovremmo imparare a essere più fieri di quello che siamo. E’ un problema di testa, di una mancanza di basi culturali. Un po’ come è accaduto nel vino, dopo lo scandalo del metanolo hanno iniziato a fare vini di qualità.