Lucca, 11 giugno 2014 - «E’ stata la nostra associazione a far partire le indagini sul caso di pedofilia. Abbiamo vissuto mesi d’inferno. Anche noi, nel nostro piccolo, siamo stati delle vittime». A parlare è Mirko Bernardi anima e referente dell’associazione no-profit «Hacking Labs», associazione il cui scopo è quello di promuovere e diffondere la cultura informatica rimettendo a nuovo i computer destinati allo smaltimento che poi vengono donati a scuole, parrocchie e associazioni.

Ieri in tribunale, infatti, si è tenuta una nuova seduta del dibattimento che vede imputato un operaio 64enne residente nella Piana (per tutelare il minore omettiamo il nome del suo presunto aguzzino). Il 64enne è chiamato a rispondere del reato di pedofilia. Secondo gli inquirenti, infatti, avrebbe abusato sessualmente per sette anni di un bambino. L’uomo era riuscito a conquistare la fiducia della madre del piccolo quando il bambino aveva appena 6 anni e ben presto era diventato uno di ‘famiglia’. Una sorta di zio «buono» che aiutava a risolvere le piccole problematiche di vita quotidiana che ogni madre-lavoratrice deve affrontare. Così andava a prendere il bambino a scuola e lo portava al mare e in gita. Gli aveva regalato il cellulare e perfino la Play Station. Ma dietro a questo legame fatto di premure e buone maniere — così da non destare neppure il minimo sospetto della mamma —, secondo l’accusa, si nascondeva un rapporto malato che la vittima ormai riteneva essere ‘normale’. Un rapporto fatto, secondo gli investigatori, di ripetuti abusi sessuali (senza comunque arrivare mai ad avere rapporti completi).
«Noi teniamo corsi e lezioni di computer un po’ in tutta la lucchesia — spiega Bernardi — e, nell’ambito di una di queste nostre iniziative sul territorio, abbiamo incontrato questo signore. Si trattava di un operaio che all’apparenza sembrava un tipo normale. Magari un po’ curioso, ma niente di più. E invece...».
Ci dica: che cosa è accaduto?
«Un giorno si è confidato con me. Mi ha preso da una parte e mi detto di essere innamorato di una donna che aveva un figlio. Un figlio che, a suo parere, lei trascurava troppo».
E lei?
«Ho risposto che non doveva mettere becco nel rapporto fra la madre e suo figlio. E ho chiuso la conversazione. Però...».
Però?
«Qualche tempo dopo, il 64enne è tornato di nuovo alla carica chiedendo consigli ‘amorosi’ e confidando particolari intimi sconcertanti ad un ragazzo (minorenne) che frequentava il suo stesso corso».
Che cosa avrebbe chiesto?
«Ha confessato al ragazzo di essere innamorato di un 13enne. E pretendeva un consiglio su come comportarsi perché il bambino si negava. Ovviamente appena ascoltata tale ammissione, il nostro minorenne ci ha subito chiesto aiuto».
E voi che avete fatto?
«Non potevamo fare finta di niente. Abbiamo presentato denuncia senza pensarci un attimo. E i carabineri sono stati eccezionali. Hanno capito la nostra paura e i nostri disagi. Si sono subito messi in azione — insieme al personale del codice rosa — sostenendoci sotto ogni aspetto. Sono stati, comunque, mesi durissimi».
Perché?
«Perché l’uomo ha continuato a seguire il corso che aveva iniziato come se niente fosse. Sapevamo che era indagato e avevamo paura di tradirci. Potevamo dire qualcosa di sbagliato oppure far capire che sapevamo troppo e compromettere tutto. Però abbiamo tenuto duro e abbiamo collaborato fattivamente con le forze dell’ordine fino al momento dell’arresto. Ma, ripeto, eravamo letteralmente terrorizzati».
Da che cosa di preciso?
«Non volevamo mai lasciare il 64enne da solo con i ragazzi che frequentavano il suo stesso corso. E la pressione psicolgica è stata enorme. E’ stata dura perfino la gestione del quotidiano».
Come definirebbe oggi il 64enne?
«Una persona malata».
Il processo è iniziato: qual è il suo stato d’animo?
«La giustizia farà il suo corso. Da parte nostra siamo fieri di quello che siamo riusciti a fare. Nello Statuto della nostra associazione c’è proprio scritto che combattiamo la pedo-pornografia. Diciamo che abbiamo messo in pratica il nostro manifesto».