Pisa, 9 novembre 2013 - LUI GIURA che fossero semplici mance, nient’altro. Ma la procura non sembra dargli molto credito. E ieri mattina l’ha interrogato. E’ nei guai un dipendente dell’archivio notarile di Lucca, nato a Livorno e residente a Pisa. A incastrarlo, la trasmissione televisiva «Le Iene» di Italia Uno, dopo che l’inviato Andrea Agresti — con la fondamentale collaborazione dell’investigatore privato Renato Bianchi — aveva ripreso con una telecamera nascosta il dipendente statale mentre «aiutava» alcuni utenti dell’archivio a fare fotocopie in carta libera, per uso proprio di atti notarili. L’impiegato invece che richiedere 24 euro a pagina, il prezzo ufficiale dell’atto, aveva evitato di mettere timbri e fascette e chiesto un «contributo» per il disturbo. La «Iena» e i suoi complici avevano quindi passato sottobanco al dipendente statale «mance» da 20 a 80 euro. Tutto ripreso da una telecamera nascosta.

 

E dopo la messa in onda, ecco scattare l’inchiesta della Procura di Lucca. «I soldi intascati e mostrati in tv? Solo una mancia. Niente di più». Si è difeso così il dipendente statale dell’archivio notarile di Lucca davanti al pm Fabio Origlio che l’ha interrogato ieri mattina. L’uomo ha ammesso di aver preso dei soldi, ma ha sottolineato che non pensava che si trattasse di un’attività illecita quanto, piuttosto, di una sorta di «mancia» in cambio di un piccolo favore. E avrebbe poi sostenuto che i soldi delle «mance» venivano raccolti in una sorta di cassa comune dell’ufficio a cui attingevano anche altri due colleghi: il tutto all’insaputa del dirigente. «Mance» sporadiche e non certo quotidiane. Oltre all’uomo residente a Pisa sarebbe almeno un altro l’iscritto nel registro degli indagati con l’ipotesi di peculato. In realtà, però, sembra che l’imputazione possa presto trasformarsi in «corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio». Infatti, le fotocopie che il dipendente avrebbe «venduto» ai suoi utenti erano solo per uso personale e non avevano alcuna valenza legale. Quindi non si configura un vero e proprio peculato ma piuttosto una corruzione che comunque sarebbe punita con la reclusione da due a cinque anni. Se alla fine dei tre gradi di giudizio, il dipendente sarà condannato potrebbe anche perdere il posto.