Lucca, 9 aprile 2009 - Una finestra il cui panorama è senza dubbio magico, quasi surreale. E la scoperta archeologica, almeno dalle premesse, è una delle più incredibili mai effettuate in questi ultimi decenni. E’ bastato sollevare pochi metri di terra infatti per far tornare alla luce una «industria», in pratica un complesso di numerose pietre scheggiate. Resti arcaici dal grande valore storico, dal momento che testimonierebbero la presenza a Lucca dell’uomo primitivo, più precisamente dell’homo erectus, vissuto nel paleolitico inferiore. In pratica, se quelli che per il momento sono soltanto primi dati fossero successivamente confermati dagli esperimenti scientifici, la scoperta lucchese sarebbe un unicum in Italia. A quanto si è appreso dall’archeologo Michelangelo Zecchini nel corso della presentazione del libro «Lucca: le metamorfosi di una città romana. Lo scavo dell’area Banca del Monte di Lucca», che ha lavorato spalla a spalla con il soprintendente archeologico della Toscana, Giulio Ciampoltrini, e con il Centro studi archeologici di Lucca, «i resti sono emersi in seguito ad uno ‘scasso’ per realizzare una fossa — spiega — in un campo che si trova subito fuori le Mura di Lucca, nella prima periferia, vicino a quello che era il corso del fiume Auser. Sono venuti alla luce così ciottoli scheggiati molto arcaici». Quella che viene denominata come «industria litica», di pietre insomma, sarebbe direttamente riconducibile all’uomo primitivo e si tratta «dei reperti — aggiunge Zecchini — più antichi ritrovati in Lucchesìa, e comunque tra i più antichi della Toscana». «Fino ad oggi — prosegue l’archeologo — si è sempre parlato di ritrovamenti risalenti a circa 50.000 anni fa, nella Valle del Serchio o anche in alcune grotte della Versilia. Qui invece si potrebbe parlare addirittura dell’homo erectus». «Le pietre ritrovate — illustra ancora — sono molto grosse, alcune anche più del palmo di una mano, e servivano per spaccare le ossa di animali cacciati o per tagliare le pelli. Solo una ventina di queste pietre sono state ritrovate in una zona ristretta».
 


Se Zecchini però non ha problemi a sbilanciarsi azzardando a sottolineare come le scoperte potranno aprire le porte allo studio dell’uomo primitivo in Lucchesia, diverso invece è il discorso quando cerchiamo di capire quale possa essere il periodo a cui risalgono tali reperti. Qui infatti Zecchini vuol essere molto cauto anche se è possibile parlare, approssimativamente, di un periodo compreso tra i 200.000 e i 300.000 anni fa. «Non voglio però — precisa subito l’archeologo — dare datazioni troppo precise. Ora faremo lo scavo, ma sorprese potrebbero arrivare anche dagli Stati Uniti». Sì, perché a quanto si apprende da Zecchini, le indagini scientifiche potrebbero anche stabilire datazioni molto più antiche, anche di 800.000 anni addietro. Proprio per non lasciare nulla al caso, sono stati presi contatti con una univerità dell’Indiana negli Usa, «per realizzare una datazione radiometrica — racconta Zecchini — che si basa in pratica sullo scadimento radioattivo dell’Alluminio 26 e del Berillio 26. Una tecnica con la quale è possibile, pensi un po’, datare addirittura le felci. L’errore previsto è nell’ordine del centesimo».
 


Ma di che uomini parliamo? «Di uomini che vivevano già in gruppo — spiega l’archeologo — e che conoscevano già l’uso del fuoco. Insomma persone che cacciavano insieme e la cui evoluzione spirituale era già abbastanza pronunciata». Un’emozione immensa quella di Zecchini, soprattutto perché, pur se specializzato ormai nell’archeologia romana, guarda caso, a suo tempo si laureò in «Archeologia preistorica» con un esperto in paleolitico inferiore. «La Sovrintendenza ha uno stuolo di collaboratori di altissimo livello — conclude il racconto — . Dopo lo ‘scasso’ sono stato contattato da loro e così mi sono potuto render conto di che cosa si trattava. Sono andato a vedere. Per me è stata un’emozione».

Cristiano Consorti