Da Livorno a Las Vegas, ecco l'under 40 che insegna agli americani come gestire i casinò

Marco Benvenuti, con due co-fondatori americani, ha ideato la Duetto, azienda che fornisce software per ottimizzare il profitto alle grandi catene alberghiere

Marco Benvenuti, 39 anni, livornese, co-fondatore di Duetto

Marco Benvenuti, 39 anni, livornese, co-fondatore di Duetto

Livorno, 5 settembre 2015 - Nei suoi uffici si può andare a lavoro in infradito. Pupazzi dei cartoni animati un po’ ovunque e megaschermo per i videogiochi. E anche se l’atmosfera è rilassata e creativa, il successo della sua azienda è terribilmente serio. Perché Marco Benvenuti, livornese, 39 anni, partito per gli Usa nell’ormai lontano 1999, è oggi uno dei punti di riferimento statunitensi nel campo della gestione alberghiera.

Avevamo già parlato di lui un paio di anni fa, quando la sua azienda appena fondata, la Duetto, ricevette a San Francisco due milioni di dollari dai grandi investitori che in California mettono soldi in ogni idea che appare buona, aspettando l’avvento di un nuovo Facebook con cui arricchirsi. Da allora l'azienda, che produce software per ottimizzare il profitto degli hotel, ha fatto molta strada.

Benvenuti e i due cofondatori statunitensi hanno affinato la loro idea ricevendo dal 2012 a oggi sessanta milioni di dollari di investimento, con trenta milioni ricevuti soltanto nelle ultime settimane e con un centinaio di giovani assunti fin qui nei due uffici di Las Vegas e San Francisco, le basi principali oltre agli uffici di New York, Austin in Texas, Cleveland in Ohio, Londra e Singapore.

L’idea che incuriosisce e attrae il mondo del turismo statunitense parte appunto dal software. Arricchito da una serie di big data, ovvero grandi quantità di dati (dal tempo che fa nella zona dell’hotel, ai concerti in programma in città, ai prezzi delle camere degli altri hotel vicini) fornisce alla struttura alberghiera il miglior prezzo a cui proporre la camera al pubblico.

"In modo da ottimizzare le finanze dell’hotel stesso”, dice Benvenuti dal grande ufficio di Las Vegas, dentro il centro commerciale di Tivoli, una zona in espansione della città, se mai ci fosse bisogno di espandere ancora la capitale mondiale del divertimento. Dagli Stati Uniti al resto del mondo il passo è breve: il software interessa alle grandi catene agli hotel più piccoli. Non solo negli Usa. E non solo alle strutture alberghiere, "perché lo stesso principio può essere applicato ai casinò e ai resort, come stiamo sviluppando", spiega.

Una storia, quella del 39enne livornese, che può accadere solo in America. Un successo partito proprio da Livorno. Da qui Benvenuti, figlio del compianto ex sindaco di Livorno Roberto, ha preso il volo per gli Usa sedici anni fa, quando ne aveva 23. Arrivò da perfetto sconosciuto, alloggiando prima in dei motel, poi in un piccolo appartamento. Ora un ricordo rispetto alla grande villa dove vive con la madre Stefania e il cane Zena.

“L’idea era quella di vivere a Las Vegas e studiare là all’università, ma non sapevo cosa esattamente avrei potuto fare. Mi consigliarono ovviamente di studiare amministrazione di hotel per trovare poi lavoro nel turismo, l’industria che regge la città”. E così fece. "Dopo l’università - racconta - ho lavorato in colossi del turismo come Expedia, arrivando poi a diventare responsabile del sistema informatico del Wynn Encore”.

Si tratta del principale e sfarzoso casinò di Vegas, in cui gli immensi lampadari rossi che si vedono al soffitto costano 400 mila dollari cadauno. Ma non ci sono stati sconti sulla gavetta. Negli Usa per arrivare in alto devi saper lavorare partendo dal basso, aprendo la porta ai clienti del Four Season di Chicago. Il cosiddetto door boy, “ruolo che ho ricoperto per un po’ e che mi è servito per capire l’industria del turismo americano così come tutti gli altri”.

Ma cosa ha spinto un allora 23enne a lasciare Livorno e le comodità? “Ogni posto di lavoro che avrei occupato a Livorno sarebbe stato visto come il posto di un raccomandato - racconta - Non volevo che una mia carriera nella mia città fosse stata vista come quella di un privilegiato. Già dalla scuola ogni mio voto buono era visto male. Non era più aria”. La Duetto è nata come sono nate molte imprese giovani di successo.

“Con un collega di Wynn, Patrick Bosworth, avemmo l’idea del software e ci licenziammo. Volevamo creare la nostra impresa”. Fu un salto nel buio, quasi impensabile nell’Italia dei giorni nostri. I due andarono a San Francisco, culla della new economy, dove hanno sede i gruppi di venture capital, gli investimenti ad alto rischio. Qui, pur essendo perfettamente sconosciuti, le loro idee ebbero ascolto. Incontrarono il terzo fondatore, Craig Weissman. La partenza fu con un pugno di ingegneri.

Oggi un centinaio di persone, con un’età media di 30 anni, lavora a vario titolo per migliorare continuamente il software già adottato da grandi catene. E’ un tipo di lavoro impensabile per una normale azienda italiana. Entra chi se lo merita, si può andare al lavoro in bermuda. Chi dirige si confronta e ascolta, molto, gli altri dipendenti. Ma non ci sono barriere o uffici fantozziani: i capi hanno il loro computer insieme agli impiegati, di fronte alle vetrate che, nell’ufficio di Las Vegas, guardano verso l’immensa distesa del deserto del Nevada.

Un’azienda, e qui sta l’altro grande vantaggio del mercato del lavoro Usa, in costante contatto con le università. Come Unlv, l’ateneo da cui Benvenuti ha iniziato la sua avventura e in cui oggi parla in classe ai nuovi studenti su come è riuscito a concretizzare il suo progetto industriale. Sulla maglietta e sulla giacca Adidas c’è quel logo, Duetto, che parla molto italiano. “Abbiamo pensato all’auto, alla Duetto Alfa Romeo”, racconta Marco. Un tocco di italianità per una storia che da Livorno arriva a Las Vegas. Tornerebbe mai in Italia? “Tornerei solo se avessi abbastanza soldi da riportare il basket labronico sul tetto d’Europa. Tornerei per la pensione, ma non credo che tornerei per qualsiasi altra ragione a parte queste”.