La crisi nera e l'happy hour

di Paola Zerboni

Paola Zerboni

Paola Zerboni

Livorno, 26 ottobre 2014 - Compatti marciamo. Anzi no, ognun per sé e come al solito ben attenti a tirare ciascuno l’acqua al proprio mulino. Soprattutto mercoledì 29 ottobre, quando ci sarebbe lo sciopero generale. Il condizionale è d’obbligo perché rischia di durar meno del tristemente noto «gatto sull’Aurelia» il fronte comune istituzionale, invocato anche dal prefetto Tiziana Costantino, per portare la «vertenza Livorno», il dramma degli operai Trw (ed Eni e Cooplat, e Agenzia Espressi, e Camera di Commercio, l’elenco è approssimato per difetto), alla ribalta nazionale. Sembrava quasi fatta, dopo «l’11 settembre del lavoro», come con metafora efficace gli operai hanno definito la tremenda e infinita giornata di venerdì 17 ottobre. Sembrava che nessuno si fosse risentito nel vedere Nogarin sotto i riflettori, a riscuoter consensi (facili?... insomma) tra gli operai, a distribuir volantini, a saltare come un “grillo” da un vertice all’altro, a tener banco alle assemblee di fabbrica e nei cortei in città o in trasferta, ai tavoli romani. Almeno così ci è parso martedì sera quando, per la prima volta nella storia industriale dell’area labronica, si è tenuto il consiglio comunale congiunto Collesalvetti-Livorno, presenziato dall’assessore regionale Simoncini e dal neopresidente della Provincia Franchi. Sembrava fatta, fronte comune, tutti uniti per far di Livorno un’altra Piombino.

Per ottenere a Livorno quello che si è ottenuto (o si tenta di ottenere) a Piombino, dove tutti, sindacati locali e nazionali, istituzioni, locali e nazionali, associazioni di categoria locali e nazionali, semplici cittadini fanno quadrato in difesa dell’acciaieria. Però Livorno non è Piombino. Livorno è una città complessa e ha minimo due volti e due velocità: mentre in via Roma gli operai in lacrime assaltano la sede degli Industriali, girato l’angolo in via Cambini c’è un’altra Livorno, griffata da capo a piedi e fresca di coiffeur, che si tuffa allegra nell’happy hour. Una Livorno che la Trw non sa neanche dove sia. E in mezzo, tra l’una e l’altra Livorno, ci sono i politici, le loro schermaglie, i loro mulini cui portar acqua. Vuoi che non ci sia qualche fine pensatore machiavellico che ritiene il partecipare allo scioperone (ino) di martedì un sottinteso avallo alla credibilità del sindaco grillino e «guastafeste»? A quella mobilitazione hanno di fatto dato il placet il prefetto, il sindaco Pd, di Collesalvetti, Provincia, Regione, e persino Confindustria, che nell’organizzare l’incontro al Mise di mercoledì 29 non ha certo avuto un ruolo secondario. Serve a qualcosa chiudere le serrande? Servirà alla vertenza degli operai? Forse no. Ma a volte c’è bisogno di gesti simbolici, c’è bisogno di dimostrare che Livorno stavolta non girerà l’angolo per non vedere.