Sarah Schinasi: "Io, profondamente toscana, porto la mia tenacia nei teatri del mondo"

Lirica, parla la regista da anni sulla cresta dell'onda. Il rapporto con il padre e con il maestro Gian Carlo Del Monaco. E il sogno di un film d'opera

Sarah Schinasi con Zubin Mehta

Sarah Schinasi con Zubin Mehta

Cecina (Livorno), 25 maggio 2017 - Una stella tra le stelle dell’opera lirica: Sarah Schinasi. La giovane talentuosa regista toscana, originaria di Cecina, dopo il successo del Don Carlo all’Opera di Firenze torna a parlare di progetti ed impegni. Primo tra tutti, quello a Israele per l’insegnamento del suo metodo ai cantanti lirici.

Sarah, lei è regista, insegnante, direttrice teatrale, con alle spalle esperienze in ogni parte del mondo. Quali sono state le tappe più qual  importanti della sua carriera e, qual è per lei il segreto per arrivare al successo?

"Senz’altro l’inizio all’Opera di Nizza è stata una grande chance. Tornando poi dai corsi di recitazione alla Central School di Londra presentai il curriculum per fare uno stage di regia e fui accettata. A quell’epoca il teatro coproduceva con moltissimi importanti teatri europei, le mie due prime produzioni furono l’Alceste di Gluck con Yannis Kokkos e l’Armida di Pierluigi Pizzi, che tornava dal Festival di Versailles. Era la stagione  94/95. La ricchezza delle scene, dei costumi e della messa in scena era pura magia. Ma fondamentale è stato l’incontro con il maestro Gian Carlo Del Monaco quando nel 1997 ha preso la direzione dell’Opera di Nizza. Da quel momento, è iniziata per me la vera scuola. Sia io che Bertrand Rossi (adesso vice direttore artistico all’Opera Nazionale del Reno a Strasburgo), non avevamo neppure 24 anni ed eravamo tremendamente timorosi del maestro. Studiavo fino a tardi tutti i ruoli, tutte le parole con l’intonazione e il solfeggio per poter eventualmente interpretare durante le prove gli eventuali personaggi mancanti, in modo da aiutare gli altri artisti per l’equilibrio della costruzione della regia, così mi aveva spiegato il maestro. La sera della generale pubblica del Falstaff con il direttore d’orchestra Renato Palumbo alla bacchetta, la contralto ebbe un malore, per cui seduta stante il maestro Del Monaco mi disse “ Sarah vai al trucco e preparati: stasera farai Mrs. Quickly”. Mi ricordo quella serata come memorabile, perché mi divertii moltissimo. Rimane per me un ricordo particolare anche lo studio e il montaggio della produzione di Andrea Chenier a Nizza con Daniela Dessi e Neil Schikoff, poiché il maestro Del Monaco possiede una partitura con le note dirette di Umberto Giordano stesso, trasmesse a Mario Del Monaco. Ho assorbito da lui tutto quello che potevo in 20 anni e, come regista associata, cerco di far brillare il suo lavoro sempre al meglio e penso che ormai so cosa desidera, anche senza che ci parliamo".

Poche settimane ha portato all'Opera di Firenze, il "Don Carlo" diretto da Zubin Mehta, affiancando la regia a quella di Giancarlo del Monaco. Che esperienza è stata e come l'ha vissuta?

"Don Carlo è un produzione nata nel 2010 a Bilbao con le fantastiche scene di Carlo Centolavigna, grande collaboratore di Zeffirelli, i costumi storici di Jesus Ruiz, il più grande costumista spagnolo e le luci del light designer Wolfgang Von Zoubek. Una coproduzione molto coraggiosa per la grande e scenografica dimensione e stile firmata Giancarlo Del Monaco. Lo spettacolo ha viaggiato da Oviedo a Siviglia e di nuovo a Bilbao nella versione francese da me ripresa nel 2015. Per l’ultimo Maggio Musicale del Maestro Mehta l’Opera di Firenze ci ha invitati per questa storica occasione. Avevamo già lavorato assieme nella Turandot Cinese di Chen Kaige a Valencia nel 2009, ma questa volta arrivavo per rappresentare il Maestro Del Monaco come sua regista associate. Dalla prima riunione con il maestro Mehta ci siamo capiti subito: la conversazione andava da una pagina all’altra dello spartito d’orchestra a quella della regia, in modo che si è costruito il dialogo sulla musica. Con lui ci siamo trovati subito d’accordo. Il Maestro Mehta poi è un grande gentleman: mi ha presentato all’orchestra con charme e humour, cosa che mi ha riempito di orgoglio e mi ha permesso di lavorare in armonia con tutti. Ho sempre sentito la responsabilità di rappresentare fedelmente il lavoro del maestro Del Monaco: mi consultavo con lui sulle nuove scelte, poiché una produzione cresce e migliora sempre, soprattutto per una grande occasione come questa. Devo assolutamente menzionare il cast che ha fatto un lavoro eccellente: Julianna Di Giacomo, che debuttava nel ruolo della “regina Elisabetta; Massimo Cavaletti baritono lucchese, ormai astro della lirica italiana nel mondo. Poi Roberto Aronica, “Don Carlo”, che aveva creato il ruolo e debuttato con noi nel 2010 ed è quindi stata una grande allegria riaverlo con noi, alternato nell’ultima recita da Sergio Escobar; Simona Di Capua, un brillante “Tebaldo”, Enrico Cossutta un bravissimo “Conte di Lerma”, Dimitri Bieloselky un “Filippo” fantastico. Saverio Fiore un “Araldo” di grande lusso. Gli ultimi spettacoli abbiamo avuto la soprano Giovanna Casolla per sostituire un’ora prima dello spettacolo la “Principessa d’Eboli” di Ekaterina Gubanova. E’ stata un’equipe molto compatta e di grande armonia e il pubblico lo ha percepito. Mi rimarrà un incredibile ricordo di questa esperienza e ne sono grata al maestro Del Monaco".

Adesso quali sono i suoi prossimi progetti?

"Parto tra qualche giorno per Israele su invito dalla direttrice Shriit Lee Weiss, della Israeli Opera Studio per offrire un workshop d’interpretazione per cantanti. Vorrei fare un dottorato a Firenze per approfondire la mia ricerca e il metodo Schinasi/Leon e, in autunno, spero di tornare al Vocal institute a New York da Stephen Wadsworth con cui collaboro dal 2008. Ho infatti l’onore di essere l’unica italiana ospite al Vocal Instiute per la ricerca sull’interpretazione per cantanti a livello registico e sono grata al maestro Wadsworth che è un grande nome del teatro newyorkese e meraviglioso pedagogo oltre che grande librettista per Bernstein".

Lei vive ormai da anni a Madrid e spesso è a Nizza dove vive la sua famiglia, cosmopolita. Quanto sono importanti le sue radici e quali valori le hanno trasmesso?

"Le mie radici sono profondamente toscane sefardite, probabilmente per questo mi sento cosi a casa Madrid. A Nizza ho iniziato la mia carriera, quindi vi è una parte importante della mia vita in quel bel teatro. I miei valori sono indubbimanete la perseveranza e la serietà. Quest’ ultima, forse anche troppa, che può essere percepita come rigidità, ma sul lavoro, soprattutto quando devi mandare avanti una nave con un equipaggio di 200 persone, non puoi permetterti di essere superficiale o pensare alle tue necessità personali. Credo che l’affidabilità e la creatività siano le caratteristiche che più mi contraddistinguono".

Suo padre è il fondatore del Neofuturismo italiano e la sua storia personale si intreccia con i temi più spinosi del nostro tempo: le guerre, il fondamentalismo religioso, la crisi economica, i nazionalismi esasperati e la mancanza di valori. Quale contributo l'arte, che sia la pittura, il cinema o la musica, può dare, per  veicolare messaggi positivi e di speranza all'umanità?

"Babbo è stato un emigrante scappato da un paese dove era nato per tornare in patria lasciando dietro cosa aveva per poi doversi “ricostruire”. La perseveranza nel realizzare qualcosa penso mi sia stata data sia da babbo che da mamma, entrambi con caratteri forti e coraggiosi. In questi giorni a Firenze ho passato del tempo con Silvia Guetta che sviluppa tematiche sulla Pace e risoluzione dei conflitti all’Università di Firenze, scambiando idee sul fatto che l’opera e la musica sono mezzi capaci di avvicinare persone di culture, religioni, modi di vivere diversi e, quindi, un eccellente ponte. C’è un fine comune quando si monta un’opera che ci unisce attraverso la musica che è quello di raccontare una storia. I conflitti dovrebbero risolversi in maniera civile, anche con scontri verbali, come talvolta può succedere, ma mai nella mancanza di rispetto dell’altro. Nell’Umanesimo Neofuturista di babbo il messaggio di pace e fratellanza è sempre stato presente, cito solo un esempio, “La Battaglia di Mallorca della Repubblica Pisana” che si trova alla stazione di Pisa a cui sono molto legata, con al centro della scena dei corpi di iracheni morti nella Guerra del Golfo. E proprio lì in mezzo al murale c’è una figura bianca che ferma la guerra: sono io. Penso che proprio da Firenze inizerò a pensare a questo progetto".

Insegna interpretazione e recitazione ai cantanti di opera e ai giovani con questo sogno nel cassetto. Come è arrivata ad amare e poi ad insegnare tale disciplina, inventando addirittura un suo metodo?

"La regia è un mondo molto profondo connesso alla drammaturgia, ma anche al canto. Con il maestro Del Monaco ho sempre osservato, come lui, figlio di un grande tenore, abbia sempre parlato di tecnica di canto e di problematiche rispetto alla creazione di un suono. Lo stile Felsestein Del Monaco è uno stile motlo cinematografico dove non necessairamente si canta sempre tutto verso il pubblico. La creazione di un suono è una cosa così fisica, che chi non canta non può capirne interamente la complessità, e ho semrpe osservato come questo allontana un artista dall’ interpretazione di un personaggio a livello registico. Ho imparato molte tecniche di controllo per il corpo l’ “Alexander” quando studiavo da pianista, il “Feldenkrais” in seguito a un’esperienza all’Old Vic a Londra. Con la mia insegnante della Royal Central School of Speech and Drama di Londra, Milca Leon, ci siamo addentrate nella ricerca di una nuova metodolgia che possa sviluppare una maggiore consapevolezza del controllo sul corpo con il fine di aiutare una respirazione migliore e un controllo muscolare maggiore. I tempi di produzione diventano sempre più stretti oggi giorno e i giovani devono essere preparati ad affrontare prove difficili e a preservare l’organo vocale, perchè la carriera sia più longeva possibile. La regia e il canto hanno ancora da esplorare molto per trovare dei punti di connessione che siano utili per far si che la comunicazione tra palcoscenico e pubblico sia chiara e il canto preservato".

Quale sogno vorrebbe realizzare al più  presto?

"Mi piacerebbe l’anno prosismo affiancare il maestro del Monaco per la ripresa della Fanciulla del West al Metropolitan. Ho già rimontato per il Met Iphigenie en Taurdie di Wadsworth, ma non ancora a New York una del maestro e sarebbe per me una grande felicità, perché questa Fanciulla è stata la prima produzione fatta assieme 20 anni fa. Non ultimo, vorrei realizzare un film d’opera".