Il Papa e la scelta "pro-life"

Il direttore de La Nazione risponde ai lettori

Pier Francesco De Robertis, direttore della "Nazione"

Pier Francesco De Robertis, direttore della "Nazione"

Firenze, 3 settembre 2015 - Dopo aver riammesso alla Comunione i divorziati il Giubileo è occasione per condonare gli aborti. Basta che la donna sia pentita e lo dica a un prete. Ma le donne ricorrono all’aborto quando non hanno alternativa. E sono già pentite, senza la via burocratica del confessionale. Condonare una sofferenza non mi pare dunque il caso, la sofferenza non può essere reato. Giovan Sergio

Benedetti Capannori

Caro Benedetti, pubblico volentieri la sua lettera a rischio di appiattire in poche righe di risposta un tema così complesso. La Chiesa ha sempre guardato al tema dell’aborto soprattutto dal punto di vista del nascituro, ossia del diritto di ogni essere concepito a venire al mondo ed essere accolto nella famiglia umana. E’ questo, secondo la Chiesa, il primo «diritto» di cui tener conto, tant’è che il Papa e i vescovi hanno sempre parlato di «diritto alla vita». Un diritto inalienabile, che in quanto tale supera tutti gli altri, in primis quello «di scelta» della madre e del padre. Per evidenziare questa impostazione, il catechismo della Chiesa include l’aborto tra i peccati più gravi, quelli «mortali», direi quasi un peccato mortale «rafforzato». Le considerazioni che lei fa sulla donna (e anche sull’uomo, perché spesso la decisione è di entrambi) non tolgono niente alla scelta di difendere la vita dal suo concepimento, su cui magari si può non essere d’accordo, ma che per il Papa sta davanti a tutto.