Matrimoni e amori finiti

La lettera: risponde il vicedirettore della "Nazione"

Il vicedirettore de La Nazione, Mauro Avellini

Il vicedirettore de La Nazione, Mauro Avellini

Firenze, 25 aprile 2015 - Caro direttore, il Parlamento non aveva altro da fare che sferrare un nuovo attacco alla famiglia. Il divorzio «breve» farà in modo che i giovani affrontino la scelta del matrimonio in maniera più superficiale e provocherà lo sfascio di altre famiglie già messe a dura prova dalla crisi. Che ne pensa lei?

Aldo R., via mail

Non sarei così pessimista. Rispetto a qualche anno fa adesso ci si sposa un po’ di più e si divorzia un po’ di meno. Più responsabilità e amore in tempo di crisi, verrebbe da dire. E poi tutta questa rivoluzione dov’è? Sono passati più di quarant’anni dal referendum, fino al 1987 ci voleva un lustro per divorziare e da allora ne sono trascorsi altri 28 per ridurre ancora i tempi, da 36 a 6 mesi, ammesso che entrambi i coniugi siano d’accordo. Scartato il divorzio immediato, ovvero senza separazione – che sembrava troppo, ma c’è in tutta Europa – bisogna sempre passare attraverso suocere e tribunali prima di dirsi addio. La nuova legge ha fatto chiarezza anche per quanto riguarda le questioni patrimoniali: basta il doppio sì a vivere separati che finisce subito anche la comunione dei beni. Ciò che rende fragile la famiglia non è una legge migliore e più snella per divorziare, quanto piuttosto la mancanza di aiuti e di sostegni economici affinché sia più solida l’intesa di coppia e meno incerto l’avvenire dei figli.

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