Giovedì 18 Aprile 2024

L'INCHIESTA DI Q.NET Laureati, specializzati e... disoccupati

L'allarme del professor Barontini, della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa: "Tanto più i giovani hanno una formazione specialistica, tanto più fanno fatica a trovare un lavoro adatto al loro profilo"

Un giovane alla ricerca di lavoro

Un giovane alla ricerca di lavoro

Pisa, 23 novembre 2014 - Laureati. Poi super laureati. Dopo 'perfezionati' e specializzati, infine addottorati. Ma pur sempre disoccupati. Sono un esercito, ben più affollato dalla parte dei letterati, ma anche quella degli scienziati non scherza, inserendo nella categoria dagli economisti agli ingegneri. I dati indicano al 40 per cento la disoccupazione giovanile e, per ironia della sorte, coloro che più hanno studiato vedono diminuire le possibilità di lavoro. Troppa istruzione da pagare per le aziende che devono tutti i giorni fare i conti con i minori consumi e con tasse superlative, aziende il cui imperativo è ormai diventato il basso costo della manodopera. "Tanto più i giovani hanno una formazione specialistica, tanto più fanno fatica a trovare un lavoro adatto al loro profilo. Sembra ormai esserci un eccesso di educazione rispetto a ciò che offre il mercato e spesso si ritrovano a fare cose per cui avrebbero anche potuto non studiare".

L'allarme lo lancia il professor Roberto Barontini, della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, uno degli istituti universitari e postuniversitari dell'eccellenza italiana che ha formato top manager apprezzati in tutto il mondo e personalità politiche come Giuliano Amato e Enrico Letta. Eppure oggi può succedere, ed è successo, che un laureato della Scuola Normale, altra scuola di eccellenza, poi specializzato alla Sant'Anna, abbia avuto un offerta di impiego come commesso ad Ikea. Con i tempi che corrono pur sempre una fortuna, che comunque apre una serie di interrogativi.

Stiamo forse diventando un Paese di 'over educated', per dirlo nello stile anglosassone dal quale abbiamo pure cercato di scimmiottare il sistema di formazione? E perché le aziende italiane non vogliono i cervelloni? Cosa chiedono le imprese ai giovani? Come li scelgono? "I ragazzi devono imparare ad avere una vista più allargata: non solo testa, ma anche pancia. Devono cioè dimostrare capacità di empatia nel business, riuscire a porsi in modo positivo con le persone dell'organizzazione, interagire con loro, saper gestire le risorse prefiggendosi obiettivi, che non siano quelli di fare i capi o di avere incentivi economici, come era una volta". Il consiglio viene  da Francesco Buquicchio, amministratore delegato di Egon Zehnder, un'azienda di Milano leader a livello internazionale nella ricerca di top manager. Lo hanno invitato alla prima edizione del 'Sant'Anna Job fair' per iniziare un dialogo tra imprese e allievi. E lui glielo ha detto chiaro: "Le aziende hanno bisogno di persone che sanno leggere il futuro, non esclusivamente con le competenze tecniche. Solo le imprese che hanno avuto capacità di muoversi hanno resistito, anzi sono cresciute. Credo che questa crisi possa essere davvero una grande opportunità. Agli studenti, ai giovani, chiediamo di aprirsi e puntare meno sul quoziente intellettivo. L'intelligenza emozionale, quella che rivela la capacità di relazione, è ciò che oggi serve di più sul mercato del lavoro". 

Un po' meno tecnica, dunque, un po' più di abilità nell'adattarsi al mondo che cambia. Alla General Electric, 300mila dipendenti in tutto il mondo, lo chiamano 'external focus' e significa guardarsi intorno e interpretare il mercato. "Ovviamente cerchiamo una formazione di base molto buona e qualche volta purtroppo ci sembra che alcuni concetti di base non siano stati ben assorbiti dai ragazzi che escono dall' Università", spiega Massimo Giannotti, responsabile di uno dei settori ingegneristici. "Ma l'azienda non cerca il genio, bensì persone capaci  di lavorare in team, che abbiano conoscenze tecniche, ma anche i cosiddetti 'soft skills', vale a dire quelle capacità di relazione e di comprensione delle esigenze del mercato che sono fondamentali. Ci vuole una grande competenza, ma anche forte passione e profonda umiltà per inserirsi nel mondo industriale".

Però anche le aziende non sono senza peccato. "Vogliono pagare poco e avere profili flessibili", sottolinea il professor Barontini, che della Scuola Sant'Anna è delegato al 'placement', vale a dire a collocamento. E anche i cosiddetti 'cacciatori di teste' hanno qualcosa da dire. "Spesso le aziende guardano le cose in modo sbagliato perché cercano i propri simili, vogliono perpetuare ciò che sono state fino ad oggi", ammonisce Buquicchio. "Invece il loro futuro non è scritto, né si possono fare previsioni: devono andare oltre e prendersi i loro rischi"

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