La Spezia, 3 dicembre 2010 - Quando eravamo piccoli e non volevamo dormire la nonna ci spaventava dicendo “duorm’, si no ve’ u brigant’ e t ve’a piglià”. Altro che uomo nero! Nessuno dormiva più, e cominciavamo a raccontarci sottovoce le storie terribili dei briganti che si nascondevano sulla Maiella. “Quelli si mangiano i bambini!”. “Mia mamma mi ha detto che una volta ne hanno acchiappato uno che aveva ucciso 150 persone e non so quante pecore. Hanno provato a benedirlo ma quello urlava, gli hanno dovuto tagliare la testa e dal collo è uscito tutto un fumo nero, quello era il diavolo”.

 

Cominciano dalle storie ascoltate da bambina gli spettacoli che verranno presentati domenica e lunedì alle 22 alla Loggia de' Banchi, alla Spezia, realizzati da Carla Vitantonio, col prezioso supporto di Simone Bertossi per la parte musicale. Il primo, in scena domenica 5 dicembre, si intitola Brigante se more, una produzione ‘Lucilleidi’. E’ un monologo di narrazione che fornisce un insolito punto di vista sull’Unità d’Italia e sul ruolo giocato dalle donne in quell’occasione. La donna attraverso l'Italia, con alcune considerazioni.

 

"Lo spettacolo che propongo non è solo la storia di una donna ma quella della violenza culturale, sociale e ambientale su di essa" - dice la Vitantonio. Nella storia, Serafina Ciminelli, nobildonna lucana realmente vissuta (1840- 18??), finisce i suoi giorni in carcere, punita prima di tutto per aver osato contravvenire alle tradizioni (forse dovremmo dire “alle leggi”) che volevano una donna obbediente prima al padre e poi al marito che egli le aveva scelto. E' con la sua stessa nascita che per la prima volta Serafina contravviene al padre, che aveva già preparato il catino di vino dove immergere il primogenito maschio tanto atteso, e si ritrova invece tra le braccia una bambina che gli provoca la bestemmia e la maledizione.E per tutta la sua vita Serafina Ciminelli si scontra silenziosamente e fieramente contro una società che l'avrebbe voluta donna colta e silenziosa, strumento di ingrandimento dei possedimenti della famiglia attraverso il matrimonio.

 

Senza mai rinnegare la sua femminilità Serafina Ciminelli decide di prendere in mano la sua vita e di cercare un suo proprio modo di guardare al mondo, senza adottare per partito preso quello che le viene proposto dalla famiglia, dalla classe di appartenenza (la nobiltà borbonica ottocentesca), dalle istituzioni. Per questo ella subisce una lunga serie di punizioni, di soprusi e di vessazioni che la porteranno a dover abbandonare il suo mondo per rifugiarsi come una bandita sulle montagne insieme al suo uomo, a dover vivere in clandestinità, a dover rinunciare a crescere suo figlio per timore che egli venga ammazzato insieme a lei, e infine a morire in carcere in circostanze poco chiare (e che mai saranno chiarite, essendo stati distrutti tutti gli atti).

 

L'attualità di questo spettacolo sta nel fatto che molto spesso, certo in maniera meno violenta, più educata, certo con strumenti più raffinati, i ricatti sociali davanti ai quali si è trovata Serafina Ciminelli sono gli stessi che sbarrano la strada all'emancipazione di molte giovani donne, e non solo (sarebbe troppo facile pensarlo) donne meridionali, ma sempre più spesso ragazze che crescono all'interno del nostro produttivo ed emancipato nord-est.


"Sono cresciuta affascinata e incuriosita dalle figure dei briganti - spiega ancora la Vitantonio - uno dei quali, Antonio Franco, aveva addirittura lo stesso cognome di mia madre! Ma oltre alle favole dei vecchi del paese e a due o tre canzoni che ancora ci tramandiamo, sono riuscita a saperne ben poco. Sui libri di storia la così detta “questione meridionale” è liquidata in un paragrafo di poche righe. All’Archivio di Stato, ammesso che uno riesca ad entrarci, ci sono alcuni atti di processi spudoratamente tendenziosi e comunque lacunosi. Le pubblicazioni sull’argomento sono poche, in genere fatte male e quasi irreperibili.  Ma io volevo mettere in scena questa storia, volevo far respirare ancora tutte le persone che si sono date alla montagna per amore della libertà. Volevo dare una voce a tutti quei meridionali che non consideravano la discesa dei Savoia una liberazione. Volevo parlare dei canti, della gioia, degli ideali, della paura, della terra, del sangue. Dopo un secolo e mezzo credo che l’unica cosa ancora viva di queste vicende sia proprio la passione di quelle donne e di quegli uomini, il loro coraggio, il loro desiderio di seguire se stessi e nessuna altra bandiera, ed è questo il sentire che mi interessa trasmettere raccontando la loro vicenda.

 

Così, dopo molti mesi di prove e studio, Brigante se more ha preso la sua forma, che si sviluppa su due assi: da una parte quello storico, dall’altra quello personale. Così Serafina, mentre da un lato descrive dettagliatamente la situazione del Sud Italia subito dopo l’Unità, citando spesso luoghi, date e nomi, dall’altro si sofferma sulla sua storia personale, indugiando soprattutto sulla lunga relazione amorosa col brigante Antonio Franco. E mentre gli episodi della Grande Storia diventano spesso un semplice scenario e i Suoi Protagonisti passano ad essere personaggi di secondaria importanza, acquistano forma e rilevanza i pensieri, le aspirazioni e le indecisioni della donna, in particolar modo quelli legati alla scelta di seguire il suo uomo sulla montagna e di darsi con lui al brigantaggio. Attorno a questa vicenda fioriscono spontanee quelle di altri uomini che, come Antonio e Serafina, sono diventati briganti e da briganti sono morti. A supporto della narrazione c’è la musica del pianoforte, che duetta con la voce, la sostiene, l’incalza, l’accompagna.

 

Lunedì 6 dicembre, invece, sempre alle ore 22, sarà la volte della lettura musicale Brigantesse, di e con Carla Vitantonio e Simone Bertossi. Brigantesse è un breve percorso di conoscenza e approfondimento della componente femminile del brigantaggio postunitario. All’interno di questo piccolo viaggio di parole e musica viene proposta una ricostruzione di quelle che furono figure fondamentali del brigantaggio, quelle donne, numerosissime, che per le ragioni più disparate decisero di “salire sulla montagna” e affiancarsi alla lotta dei briganti. Serafina Ciminelli e Michelina Di Cesare sono forse le più note, ma al loro fianco moltissime altre donne contribuirono alla resistenza opposta dai briganti all’Unità d’Italia.