La Spezia, 25 ottobre 2010 - "Siate generosi come il cielo. Come il vento capaci di spargere e diffondere amicizia. Come il fuoco focosi e brucianti contro l’intolleranza e l’ignoranza.  Facciamo crescere alberi di collaborazione come la madre terra". E’ Shirin Ebadi, il premio Nobel per la Pace iraniano che parla. Sabato scorso al Teatro Civico della Spezia — come abbiamo riferito nell’edizione di ieri — , ha ricevuto dalle mani del sindaco Marco Federici il Premio Exodus 2010. E’ una donna gentile la Ebadi, è un avvocato pacifista che difende i diritti delle donne, dei bambini e dei perseguitati politici; è una scrittrice di successo, è la prima donna musulmana ad aver ricevuto il premio Nobel per la Pace. Qualunque altro Paese al mondo sarebbe fiero di lei. Non l’Iran di Ahmadinejad.

 

Da quando infatti Shirin Ebadi, lo ha vinto, nel 2003, le condizioni della sua vita, sono, se possibile, peggiorate. Oggi a sette anni di distanza, non insegna più all’Università di Teheran, deve vivere in un esilio forzato, lontano dal marito rimasto in Iran e il premio Nobel le è stato sequestrato. E la situazione peggiora ogni giorno di più perché il regime di Teheran, non contento di avere soppresso l’associazione per la tutela dei diritti delle donne e dei minori da lei creata nel 2003, di aver inviato la polizia nel 2009 a far irruzione nel suo appartamento malmenando il marito, ora se la prende anche con la sua avvocatessa, Nasrim Sotoudeh arrestata e ora in carcere dove sta facendo lo sciopero della fame. Per questa donna la Ebadi chiede oggi all’opinione pubblica di prendere posizione. L’abbiamo incontrata all’hotel Jolly della Spezia questa donna coraggiosa e abbiamo cercato di capire con lei se sia davvero possibile far convivere islam e democrazia e quale sia oggi, in Iran, la condizione delle donne.

 

Sakinè, Neda, e ora Nasrim: l’impressione è che le donne più degli uomini in Iran lotti per i diritti civili. E’ così?
 

"Non metterei Sakinè sullo stesso piano delle altre donne impegnate per la democrazia. Lei deve essere salvata dalla lapidazione ma non ha mai combattuto per la libertà. In Iran però ci sono moltissime donne che lottano per ottenere i diritti civili e la democrazia. Il 65% della popolazione universitaria è femminile e le docenti universitarie sono numerose, così come le donne medico, ingegnere, avvocato. Ma dopo la rivoluzione islamica del 1979 la vita delle donne vale metà di quella di un uomo; lo stesso dicasi per la testimonianza in tribunale. Un uomo può sposare quattro donne e divorziare senza motivi validi, mentre per una donna lasciare l’unico marito è quasi impossibile. Anche le bambine sono vittime di queste leggi perché l’età della responsabilità criminale in Iran per loro è fissata a nove anni mentre a 15 per i bambini. Questo significa che se una bimba di 10 anni commette un crimine sarà condannata con la stessa durezza di un quarantenne. Ma le donne, sempre più istruite, non si arrendono e approfittano di ogni occasione per esprimere il loro dissenso. Sono certa che la democrazia in Iran verrà dalle mani delle donne".

 

Signora Ebadi, lei sostiene la possibilità anche per l’islam di un pluralismo religioso e anche il diritto di non credere. Ma pensa davvero che l’Iran oggi possa accettare questi concetti tolleranti ?

"L’importante è insegnare le fondamenta dell’Islam nella maniera corretta. Bisogna insegnare ai musulmani che si può essere musulmani e nello stesso tempo rispettare i princìpi dei diritti umani e della democrazia. Il fatto è che, per varie ragioni, alcuni governi islamici non vogliono che sia presentata un’interpretazione dell’Islam compatibile con la democrazia e con i diritti umani perché se lo facessero perderebbero ogni dominio sul popolo".