La Spezia, 3 marzo 2014 - «NON è possibile escludere che le patologie polmonari siano causalmente dipendenti dal servizio prestato nella Marina militare a motivo dell’esposizione all’amianto....». E’ il passaggio cardine di una perizia medico legale svolta da docenti dell’Università di Genova a cui si è ancorato il Tar Liguria per assumere la prova funzionale alla condanna della Ministero della Difesa al risarcimento di un ex sottufficiale spezzino di Marina, per 15 anni imbarcato in qualità di elettricista sulle navi grigie con le coibentazioni d’amianto, affetto da mesiotelioma pleurico. Una sentenza pilota - in accoglimento dell’istanza dall’avvocato Nadia Stanziola - là dove attenua l’onere della prova in capo al ricorrente al fine del riconoscimento del risarcimento del danno. Al di là della ’localizzazione’ della fibra di amianto nei polmoni e dell’accertamento sulla tempistica dell’innesco della patologia, secondo il Tar è sufficiente la dimostrazione della «prolungata esposizione del militare all’amianto» per stabilire la diretta derivazione della malattia. Il Tribunale, infatti, rileva che la «locuzione utilizzata dalla relazione (non è possibile escludere... nrd) dai medici consulenti d’ufficio è sufficiente a dare conto dell’esistenza del nesso causale dell’illecito denunciato».

La dove questo è da attribuire alla mancata attivazione di misure idonee a prevenire l’insorgenza della malattia. L’Avvocatura dello Stato, nel contrastare il ricorrente, contestava la mancata esibizione di prove capaci di stabilire responsabilità soggettive. Ebbene, il Tar osserva che possa «prescindersi dalla rigorosa dimostrazione dell’elemento soggettivo per la ripartizione dei rischi derivanti dalla commissione dei fatti illeciti, facendosi preferire l’accollo di tali situazioni ai soggetti che sono più attrezzati a sopportarne le conseguenze. In tal senso un datore di lavoro, soprattutto se caratterizzato dal rilievo che ha l’amministrazione dello Stato, ha maggiori possibilità del singolo soggetto di ripartire i costi derivanti dalle conseguenze delle condotte illecite tenute».

Come dire: non serve risalire alle colpe dei superiori fino a più alti livelli della catena gerarchica per stabilire responsabilità anche i fini risarcitori. E’ in capo al Ministero della Difesa l’obbligo a provvedere al ristoro. Nel caso specifico non è stato stabilito il quantum, perché l’orizzonte del contenzioso era relativo alla verifica preventiva del nesso causale esposizione all’amianto-malattia. Ma la sentenza impone al Ministero di proporre al ricorrente un importo ritenuto congruo, salvo dar vita ad un’altra causa se tale non sarà ritenuto dall’ex sottufficiale il risarcimento offerto. L’evoluzione della vicenda è seguita in prima linea dall’Associazione Afea di cui l’ex militare di 64 anni è socio. «Intanto non possiamo che rimarcare l’importanza del verdetto sul piano contenutistico» dice il presidente Pietro Serarcangeli.
 

Corrado Ricci