La Spezia, 23 febbraio 2013 - La frana che il 24 settembre scorso si abbattè su Via dell’Amore, ferendo quattro turiste australiane, fu causata dal cedimento della base di appoggio di un costone di roccia a 110 metri d’altezza sul livello del mare. Una sorpresa? Tutt’altro: già negli anni Novanta e poi nel 2007 l’Eptaconsult - la società specializzata in rilievi e progetti anti dissesto geologico - aveva segnalato al Comune di Riomaggiore il rischio-smottamenti in quel punto, sollecitando monitoraggi costanti e interventi mirati. «Non era prevedibile il momento dell’evento, ma lo era l’evento stesso».

Le conclusioni dei geologi Alfonso e Valeria Bellini - che su mandato del gip Diana Brusacà hanno svolto la perizia sulla frana di Via dell’Amore nella forma dell’incidente probatorio - pesano come macigni sull’inchiesta per disastro colposo aperta dal pm Giovanni Maddaleni ma anche sulle scelte future per la riapertura del sentiero, volano dell’economia delle Cinque Terre e non solo di quelle. Dicono, infatti, nero su bianco: «Senza specifici interventi Via dell’Amore può essere nuovamente interessata da crolli di masse rocciose analoghi a quello del 24 settembre».

Lo hanno spiegato ieri nell’udienza a porte chiuse dove gli unici confronti sviluppati sono stati con due consulenti: il professor Giovanni Raggi (per conto del proprietario del terreno da cui si è mossa la frana) e il professor Giampaolo Gianni (consulente dei tecnici della Eptaconsult, a loro volta indagati). Il primo, affiancato dall’avvocato Roberto Giromini, ha evidenziato la complessità degli accertamenti per risalire con precisione al punto di distacco, il secondo, che aveva al fianco l’avvocato Antonio Benedetto e ha sviluppato un intervento con l’ausilio di proiezioni, ha sostenuto l’inesistenza di certezze in ordine alla traiettoria del masso che colpì la turista australiana maggiormente ferita; per i periti ’transitò’ da un corridoio libero di tre metri tra il tunnel che si sviluppa sul sentiero e la barriera para-massi, che avrebbe dovuto essere estesa anche in quel punto.

Con certezza è intanto emerso dalla perizia che non fu dai terreni di Franco Bonanini che si staccò la frana; ieri l’ex presidente del Parco e principale imputato nel processo Mani Unte era presente in aula, affiancato dagli avvocati Carlo Bugno e Giuliana Feliciani. C’era chi ipotizzava un suo lamento per essere stato coinvolto in questa indagine sulla base di un rilievo sommario. Invece non ha fiatato. Muti tutti gli altri consulenti e avvocati.

Anche rispetto ad un’altra dichiarazione forte dei periti: «Da quando Via dell’Amore, dopo il luogo fermo-lavori nei primi anni Novanta, è stata resa accessibile, lo è stata in condizioni di precarietà e rischio per i visitatori».

E ancora: «Gli eventi franosi che si sono abbattuti sul sentiero a partire dal 1995, e che hanno dato luogo a conseguenti interventi di locale sistemazione - secondo lo schema richiesta di finanziamento, progetto commisurato a quanto ottenuto, esecuzione dei lavori -non hanno coinvolto visitatori forse in quanto avvenuti nel corso di intense precipitazioni. Si è trattato in definitiva di buona sorte».

Il ragionamento è accompagnato dai numeri, che evidenziano col senno del poi (e l’equivalenza lire-euro) una beffa: i costi degli interventi-tampone realizzati dal 1995 ad oggi è più rilevante del costo che avrebbe assunto nel 1990, se fosse stato realizzato, l’intervento di messa in sicurezza completa di Via dell’Amore secondo il progetto presentato all’epoca da Eptaconsult: 4,5 milioni di euro a fronte di 3. Cosa accadde, invece?

Che l’intervento di consolidamento fu commisurato ai finaziamenti regionali messi a disposizione: 2,6 miliardi di lire (in euro circa 1,3 milioni) tralasciando di intervenire là dove c’erano già i segni del dissesto poi drammaticamente manifestatosi il 24 settembre. Si sarebbe dovuto, in quel punto, interventire dopo. Ma si andò avanti sull’onda dell’emergenza, con lavori di rattoppo, pur di riaprire il sentiero e incassare il ticket.

Il j'accuse dei periti si allarga al sistema-Italia a proposito del mancato allarme raccolto dal Comune nel 2007, quando l’Eptaconsult tornò a sollecitare un intervento definitivo di messa in sicurezza: «Occorre osservare che una richiesta di interventi preventivi ben difficilmente avrebbe trovato riscontro; nel nostro Paese si è di solito pronti a trovare i fondi per rimediare ad un danno avvenuto ma è rarissimo che si impegnino risorse per preventire un evento, per quanto probabile».

Corrado Ricci