La Spezia, 28 ottobre 2010 - Uno dei ’capolavori’ investigativi dell’inchiesta Mani Unte è stata la collocazione delle microspie nell’ufficio del presidente del Parco Franco Bonanini e del capo dell’ufficio tecnico del Comune di Riomaggiore Graziano Tarabugi, su decreto autorizzativo del gip Diana Brusacà a fronte delle istanze dei pm Tiziana Lottini e Luca Monteverde che avevano raccolto gli indizi dell’«associazione per delinquere». Chi, quando, come e dove sono state collocate le ’cimici’ resta un mistero. Non è certo un lavoro veloce, nè semplice. E’ plausibile ipotizzare che sia accaduto nottetempo, quando gli uffici erano chiusi, con accesso ’indolore’ agli stessi.

 

L’incubo-microscopie incominciò ad affacciarsi nella mente di Franco Bonanini dopo il sequestro, da parte della Polizia giudiziaria, dei registri-protocollo del Comune di Riomaggiore e dopo aver appreso, attraverso il comandante della Polizia municipale Aldo Campi che aveva ’sondato’ una fonte a palazzo di giustizia (ora indagata), che c’erano alcuni telefoni sotto controllo. L’ordine di scuderia era: "Attenti a quello che dite per telefono... Ci ascoltano". Ma le parole viaggiavano in libertà negli uffici del presidente e del capo dell’ufficio tecnico. Tanto più dopo un intervento di 'bonifica' svolto da due tecnici specializzati, con particolari apparecchi rilevatori, giunti appositamente dall’Emilia. Avvenne nel mese di giugno, su richiesta dell’avvocato Vito Ingletti, consulente di Bonanini, docente in vari corsi per la polizia giudiziaria proprio sulle tecniche investigative e, secondo alcuni passaggi delle intercettazioni, legato ai servizi segreti.

 

Delle due l’una: o gli apparecchi rilevatori usati per scovare le cimici era superati dalle nuove tecnologie con cui vengono costruite le microspie capaci di non farsi localizzare o i tecnici hanno fatto finta di non trovarle, avendo avuto percezione che quelle da individuare erano microspie "istituzionali» e che si sarebbero messi nei guai. Di certo Bonanini, dopo l’esito negativo della bonifica (nel senso non fu comunicata la presenza di microspie), per sicurezza, acquistò dei rilevatori fai-da-te, oltre ad un miniregistratore e ad una mini-telecamera a bottone (da cucire sulla giacca). Il conto fu di 13mila euro, Iva compresa. Il costo, sotto mentite vesti, venne messo a carico della Cooperativa di Via dell’Amore: nell’oggetto della fattura venne scritto «Manutenzione condizionatori".

 

Altra cosa certa è che i tecnici che effettuarono la prima bonifica vennero, poco dopo, convocati in questura. E lì, ammesso che non l’avessero capito, apprezzarono che le microspie da cercare erano state installate dalla polizia. Fu in quel momento che venne loro esibito il decreto di segretazione dell’indagine firmato dal pm Luca Monteverde; vennero così resi edotti delle conseguenze a cui si sarebbero esposti in caso di rivelazione delle indagini. Anche la seconda bonifica fu 'negativa': sì l’apparecchio rivelatore, avvicinato ad una presa elettrica, si metteva a 'suonare'. Ma la circostanza a Bonanini venne spiegata come l’effetto di un piccolo campo magnetico. E la «cricca» continuò a parlare sicura, materializzando quello che si è risolto in un autogol.