Call center, 168 telefoniste sfruttate e vessate

Gli ispettori del lavoro contestano all'azienda l'applicazione di contratti al ribasso. Riconosciuto l'inquadramento da dipendenti. Sanzione di 241mila euro alla società

Il numero unico 112

Il numero unico 112

La Spezia, 28 marzo 2015 - Arruolate con un contratto penalizzante rispetto alle prestazioni erogate, sono state ’promosse’ dagli ispettori del lavoro che, in parallelo, hanno emesso una maxi sanzione nei confronti dell’azienda sfruttatrice e, come anche è anche emerso, oppressiva. Loro sono 168 giovani dai 18 al 35 anni che, nell’arco di quattro anni, dal 2010 alla metà del 2014, hanno prestato lavoro presso un call center ubicato nel centro cittadino, tutt’ora operante all’intero di un ampio appartamento. Il loro inquadramento era avvenuto attraverso la formula del contratto a progetto. Ma all’esito dell’accertamento gli ispettori hanno certificato che il rapporto era da ricondursi nell’ambito della subordinazione.

«Le verifiche - spiega una nota della Direzione territoriale del lavoro, di cui è responsabile l’ingegner Riccardo Spella - sono state complesse e basate principalmente su quanto emerso dalle dichiarazioni rilasciate dalle lavoratrici, dichiarazioni dalle quali si evince una totale assenza di autonomia nell’espletamento della prestazione al call center». Ma il nome di questo non trapela dal riserbo. I verbali sono stati inanellati nell’arco di qualche mese negli uffici di piazzale Kennedy. Risultato: una sanzione amministrativa da 241mila euro per l’azienda e avvio della procedura del recupero contributivo su un imponibile di un milione e 417mila euro, quindi versamenti obbligati per l’azienda di 500mila euro circa. Ciò con la prospettiva che ogni lavoratrice promuova causa per ottenere il ’quatum’ mancante di paga rispetto al nuovo inquadramento riconosciuto.

«A tutte -spiega il responsabile degli ispettori Bruno Nobile - è arrivata una lettera che le informa dell’esito dell’accertamento sul piano dei diritti riconosciuti». Ma c’è di più. L’inchiesta amministrativa ha rivelato un «clima fortemente oppressivo, di continuo controllo e con frequenti minacce di licenziamento», spiega la Direzione territoriale del lavoro. In concreto, le telefoniste non potevano gestire la chiamata liberamente, erano vincolate ad utilizzare le stesse frasi e parole contenute nello script (cioè il modello di telefonata consegnato durante il corso di formazione); le conversazioni con i clienti erano ascoltate dalla supervisor che provvedeva prontamente a rimproverare le operatrici se, addirittura, utilizzavano toni o assumevano posture non corrette durante la telefonata (ad esempio, si pretendeva che la frase “Buongiorno” venisse detta alla maniera di Benigni nel film La vita è bella!).

Forti, poi, erano anche le limitazioni nell’effettuazione delle pause che non potevano durare più di 5/10 minuti o riguardare più di due lavoratrici e che, comunque, dovevano essere sempre autorizzate. Ogni violazione a queste regole imposte comportava pesanti rimproveri e anche frasi offensive rivolte dalla supervisor, unica lavoratrice subordinata dell’azienda, alla quale era affidato il continuo e costante controllo», concludono gli ispettori evidenziando che a alimentare le tensioni si aggiungeva anche la pochissima libertà lasciata nella scelta dei turni di lavoro, le umiliazioni derivanti dai continui rimproveri davanti ai colleghi e l’affissione settimanale di una classifica con i risultati raggiunti da ogni operatrice.