Quando il vino diventa una dinasty: viaggio tra le eccellenze delle Cinque Terre

Profumi, colori e sapori dei nostri borghi. Ecco il nostro reportage / GUARDA LE IMMAGINI

Guido Galletti

Guido Galletti

La Spezia, 31 ottobre 2015 - A vendemmia ultimata, che quest’anno ha avuto numeri di produzione straordinari, la Nazione ha deciso di fare un viaggio tra i borghi delle Cinque Terre. Un racconto che inizia da Punta Pineda continua per Punta Nero e si conclude a Punta Mesco.

RIOMAGGIORE - A Riomaggiore ci aspetta Heydi Samuele Bonanini, trentasette anni, agricoltore nato e cresciuto tra i terrazzamenti delle Cinque Terre. Dal 2004 dirige la cantina Possa, un’azienda agricola familiare che produce vino ma non solo:” Ho un figlio di tre anni, voglio che mangi cose sane. Infatti oltre ai vigneti ho anche un campo di ortaggi. La mia azienda prende il nome della collina in cui coltivo, Possa Itara sopra a Punta Monte Nero. Quest’anno la produzione è andata molto bene: abbiamo imbottigliato 5.500 bottiglie di bianco Doc Cinque Terre e 800 bottiglie di Sciacchetrà. La presenza dei cinghiali è un grosso problema. Le istituzioni e gli enti responsabili devono avere la forza di coordinarsi di più. Un cinghiale che entra nel campo rischia di invalidare completamente il lavoro di una anno. Oltre al danno economico non scavano solo la terra non mangiano solo le nostre coltivazioni, tante volte distruggono i nostri muretti a secco". Bonanini, lei è un giovane agricoltore di esperienza, dal punto di vista agricolo come vede oggi Riomaggiore e più in generale le Cinque Terre? “Tutti i borghi hanno fatto un salto di qualità. Oggi le Cinque Terre non sono solo meta turistica ma sono anche polo vinicolo. Il nostro orgoglio è aver portato il Doc Cinque Terre in tutto il mondo. Il grande problema rimane quello delle terre incolte: negli anni 60/70 venivano coltivati 1.200 ettari in tutte le Cinque Terre, oggi gli ettari coltivati sono poco più di 100

MANAROLA  - A Manarola abbiamo incontrato Luciano De Battè: 58 anni, costruttore di muretti a secco e agricoltore: "Dal 1840 in questa Cantina si vinifica senza mai saltare la vendemmia. La nostra è una gestione tutta familiare. Dal 1973 siamo etichetta Doc Cinque Terre. Proprio negli anni settanta infatti nasce la Cantina Sociale Agroppo di cui io e la mia famiglia siamo stati soci fondatori. Il grosso della produzione è fatto là. Questa per noi è stata una grande annata, abbiamo prodotto cinquecento litri Etichetta Doc Cinque Terre. Il resto è prodotto con due gemelli di rovere da cui viene fuori lo sciacchetrà che noi facciamo di due tipi: sciacchetrà bianco, quello classico, e una produzione particolare che si chiama sciacchetrà nero, una nostra specialità. Tutto viene prodotto in canaiolo in purezza. Contrariamente a quanto si possa pensare il 2014 è una annata di ottimo vino, poco ma buono si direbbe: bassa alcolicità ma grande acidità. Agricoltura per noi è prima di tutto tutela del territorio. Il rischio idrogeologico è ancora troppo alto, l’alluvione del 25 ottobre 2011 ne è un esempio”.

Zaino in spalla abbiamo attraversato il centro storico di Manarola per arrivare sino alla antica Chiesa che risale al 1348, lì abbiamo incontrato un altro agricoltore, Bernardo Cappellini, 51 anni, proprietario della cantina dei Tobioli. Nome ereditato dal soprannome della sua famiglia: “La mia famiglia produce vino da sempre, da secoli. Il salto di qualità lo abbiamo fatto negli anni settanta con l’etichetta Doc Cinque terre, solo da lì le cantine hanno iniziato a produrre in sinergia. Il nostro problema è che sono diminuiti i contadini, in tantissimi si sono dedicati al turismo senza curare più il territorio. Quanto vino ha imbottigliato quest’anno? “Abbiamo avuto una bella annata; abbiamo prodotto 4.000 bottiglie di bianco Doc Cinque Terre. Abbiamo lavorato alla vendemmia io e mio cugino, la fatica è tanta ma ci crediamo. Uno dei problemi da affrontare subito è il frazionamento delle terre. Ci sono interi campi divisi in piccoli appezzamenti, nel corso dei secoli sono stati divisi dagli eredi che nella maggior parte dei casi non coltivano più. Non c’è una mappatura completa delle terre incolte, il rischio idrogeologico è alto”.

CORNIGLIA - A Corniglia incontriamo Guido Galletti, 49 anni, agricoltore e pescatore: “Coltivo di tutto: pomodori, cavoli,cipolla, aglio, melanzane, insalata. Quest’anno ho raccolto quaranta quintali d’uva che per la produzione porto alla Cantina Polenza in località Fornacchi tra Corniglia e Vernazza. Ci vuole passione per coltivare la terra. Il chilometro zero è il mio cavallo di battaglia, così facendo si mantiene il territorio, mangi roba sana, non produci inquinamento e crei posti di lavoro. Quanti disoccupati ci sono in questo momento di crisi economica? Bisogna costruire strumenti per creare occupazione, l’agricoltura è la soluzione”.

VERNAZZA - Proseguendo per Vernazza parliamo con Bartolomeo Iercari, 65 anni, presidente del Consorzio Cinque Terre Sciacchetrà . Ex Docente universitario a Pisa con la cattedra in ortifruttura e agricoltura. Dal 2009 è proprietario dell'azienda Cheo, soprannome che ha contraddistinto la sua famiglia nel corso dei secoli. L'azienda viene gestita con la moglie Beltram Lise Charlotte, originaria di Copenaghen, conosciuta ad un convegno, un dipendente e la cagnolina Diva, inseparabile dai suoi padroni anche durante le ore di lavoro nei campi. L’azienda vanta un terreno di tremila metri quadrati con una produzione che quest’anno ha avuto numeri importanti: 10.000 bottiglie di vino bianco Doc Cinque Terre, 3.000 bottiglie di Rosso Liguria di Levante e 600 bottiglie di sciacchetrà. “Quest’anno la produzione di sciacchetrà è stata da record, una stagione bellissima. Abbiamo sempre lavorato con rigore, per questo siamo orgogliosi dei premi che la nostra azienda ha ricevuto: nel 2010 siamo stati premiati come migliori dalla Coldiretti a livello regionale e successivamente a livello nazionale per il concorso “Oscar Green” della sezione esportare il territorio. E poi nel 2014 abbiamo vinto il premio “Ecofriendly” come azienda che tutela il territorio. In entrambi i concorsi c’erano aziende che provenivano da tutta Italia. Per il futuro abbiamo un grande progetto. Vogliamo costruire una zona di degustazione e di assaggio dei vini. Stiamo comprando un terreno accanto alla nostra cantina”.

MONTEROSSO - A Monterosso ci siamo dati appuntamento con Sebastiano Catania della Cantina Vetua. Quarantaquattro anni e una storia molto particolare. Contrariamente agli altri produttori non è nato e cresciuto tra i borghi e i terrazzamenti: nasce in Sicilia a Mistretta in provincia di Messina. Cresciuto a Poggibonsi in provincia di Siena come il padre farà l’autotrasportatore: "Ero un padroncino. Sono arrivato a Monterosso per caso, ero qua in vacanza con gli amici nel 1992 e non sono più andato via. Mi sono sposato con Rosi e insieme a lei e ai miei suoceri, nel 2010, abbiamo aperto la Cantina Vetua, che prende il nome dal cognome di mia moglie. Noi dal 2012 non produciamo più come Doc Cinque Terre, il disciplinare ha regole troppo restrittive, non ci convincevano. Prima di fare l’agricoltore a Monterosso ho fatto qualsiasi lavoro: sono stato autista dei pullman del Parco, operatore ecologico, aiuto cuoco, lava piatti, muratore e bagnino. E poi abbiamo deciso di buttarci in questa avventura. Mia moglie aveva un noleggio barche e dipingeva, infatti le etichette delle bottiglie sono fatte da lei.” Vetua ha un vigneto di 5.500 mq con una produzione che quest’anno ha visto imbottigliate 2.500 bottiglie di vino bianco e la proiezione per lo sciacchetrà sarà di circa 250 bottiglie. “Lo sciacchetrà noi lo imbottigliamo in tagli da 375 ml e 250 ml. Anche nella produzione del bianco abbiamo delle novità importanti: nelle varietà delle uve oltre a bosco, albarolo e vermentino utilizziamo anche piccabù, bruja paja e Frapelà. Non usiamo diserbati o pesticidi e inoltre stiamo mandano avanti un’intera vigna sperimentale biodinamica”.

Siamo andati tra le cremagliere, i vigneti e le cantine per catturarne i profumi, i colori e i sapori. Alle Cinque Terre tutto quello che si vede è il risultato della fatica di una storia che arriva da lontano. Intere vite passate a contatto con un territorio ostile e molto difficile da abitare. Tante volte l’amore per la propria terra e l’orgoglio di chi abita questi borghi viene scambiato per mancanza di ospitalità. Noi abbiamo riscontrato esattamente il contrario.