Parcopoli, sette anni a Bonanini

La sentenza per i 16 imputati rimasti nel processo / CINQUE TERRE: QUINDICI ARRESTI / INTERVISTA A LUCA NATALE / LA TALPA FA IL BIS / SCARCERATO ANCHE TARABUGI / PATTEGGIANO I PRIMI NOVE IMPUTATI / IL PROCESSO / LE CONDANNE DEL 2013

Parcopoli, il giorno della sentenza

Parcopoli, il giorno della sentenza

La Spezia, 30 giugno 2015 - Nel Palazzo civico di Riomaggiore c’era una cupola tentacolare, che tramava nell’ombra, inanellando reati per mettere le mani e impiegare a proprio uso e consumo denaro pubblico - con truffe, falsi, corruzioni - e vessare chiunque si opponesse al ’sistema’ e volesse smantellarlo: minacce, intimidazioni e calunnie erano gli strumenti di contrasto. Parola di Tribunale, a conclusione del processo «Mani Unte», dopo 100 udienze e una camera di consiglio durata cinque ore. Ieri alle 15,05 la lettura dell’articolata sentenza da parte del presidente Francesco Sorrentino, affiancato dai giudici Giuseppe Pavich e Mario De Bellis con i quali ha condiviso la maratona che, per ritmi e tempi di approdo al giudizio di primo grado, non ha avuto eguali nella storia giudiziaria spezzina: quattro anni e mezzo dopo la retata che decapitò i vertici del Parco delle Cinque Terre e del Comune, quattro anni dopo dalla chiusura delle indagini, durate 11 mesi, dal febbraio al settembre 2010.

Il verdetto cementa, nei suoi pilastri portanti, l’impianto accusatorio costruito dai pm Luca Monteverde e Tiziana Lottini. A cominciare dal riconoscimento del ruolo di promotore dell’«associazione per delinquere» attribuito al Faraone: Franco Bonanini. Ieri, dopo aver seguito passo passo il processo, ha rinunciato alla possibilità di udire con le proprie orecchie il verdetto. I giudici lo hanno condannato a sette anni e 10 mesi di carcere, riconoscendo il vincolo della continuazione ai reati contestati di associazione, truffa, falso, violenza privata, calunnia e «induzione indebita a dare o promettere utilità» reato al quale, dopo l’entrata in vigore della norma sanzionatoria mirata, è stata riconfigurata la prospettazione pregressa dell’accusa di concussione.

Ecco spiegato lo «sconto» di pena rispetto alla richiesta dei pm a 10 anni e 8 mesi di reclusione, là dove i pm miravano ad un riconocimento a se stante delle pene per le calunnie, anche là dove loro stessi, alla distanza, disponendo indagini mirate per gli indizi emersi nel dibattimento si sono ricreduti: c’era della sostanza, seppur solo limitatamente all’accusa di truffa per l’intrigo delle fatture finite indebitamente nella richiesta di contributo regionale per il bed and breakfast di famiglia, nell’esposto anonimo calunnioso - che prospettava anche i reati infondati di abuso edilizio ed estorsione - per delegittimare l’ispettore Andrea Mozzachiodi, vissuto dal Faraone come il motore della macchina da guerra allestita dai pm. mandando in panne il quale pensava di scardinare l’offensiva ad ampio spettro.

Bonanini non commenta. Studia l’impianto della sentenza e le prossime mosse con l’avvocato Carlo Di Bugno, col quale è restato un’ora al telefono: «E’ sereno, lucido. Ha il massimo rispetto per i giudici e per le loro opinioni. Queste costituiscono una tappa del percorso della giustizia, per il quale la parola fine è ancora lontana», spiega l’avvocato di Bugno. Della serie: la sentenza non è definitiva, l’appello è scontato e la battaglia continua.

Corrado Ricci