Il caso Corini: "Marco voleva lasciare a Isabò gran parte del suo patrimonio"

Giuseppe Rampini ha presentato l'esposto che ha innescato l'inchiesta

Marco Corini con la compagna Isabò Barrack

Marco Corini con la compagna Isabò Barrack

La Spezia, 15 febbraio 2016 -  E’ STATO un amico del cuore di Marco Corini a mettere in moto la macchina giudiziaria sull’intrigo del testamenti. Ma non si aspettava, quando si è presentato in Procura, che le indagini arrivassero fino al punto di supportare l’accusa di omicidio volontario aggravato nei confronti della sorella Marzia. Lui è Giuseppe Rampini, titolare di una ditta operante in porto. Lo abbiamo raggiunto. Ha accettato di parlare, con due premesse. La prima: «Seguo le cronache. Vedo che le cose che dissi agli inquirenti sono già di dominio pubblico. Basta non andare oltre». La seconda: «Marco non c’è più ma sento il dovere di onorare la sua memoria, in verità e giustizia. Per questo presentai l’esposto».

Quando ha presentato l’esposto sul testamento olografo del 18 settembre, frutto del presunto plagio?

«Verso la fine di novembre».

Perché? «Perchè inanellando una serie di fatti di cui sono state testimone ho maturato la convinzione che le decisioni di Marco non erano state rispettate. Pensavo che quanto contenuto nel testamento reso pubblico non fossero le volontà che Marco continuava a ripetere a me ed alle persone a lui più vicine, volontà che miravano a tutelare il più possibile la sua compagna».

Rampini, le risulta che anche il suo nome fosse compreso in un testamento che fece Marco a luglio, conservato, secondo la compagna, in una cassaforte nella cucina della villa di Ameglia e di cui si è persa traccia?

«No. Sia ben chiara una cosa: non ho presentato l’esposto mosso da interessi personali. Ma solo per rispettare la memoria di un uomo grande, forte, generoso. Sono stato spinto all’affetto fraterno che nutrivo nei suoi confronti e nei confronti della sua compagna che, oggettivamente, lo ha sempre aiutato ed assistito nell’evolversi della malattia. Lui voleva sposarla e per questo aveva chiesto anche a me e al giudice Brusacà di assumere le informazioni sugli adempimenti».

Corini, malato terminale, voleva tutelare la compagna anche dal punto di vista economico. Per questo, secondo diverse testimonianze, intedeva sposarla pur sapendo che non gli rimaneva molto da vivere. Sta qui il movente, secondo l’accusa: accelerare la morte dell’avvocato per evitare il matrimonio che avrebbe reso Isabò erede di diritto. Quando presentò l’esposto, lei questo lo sospettava?

«No. Evidentemente gli inquirenti, dopo il mio esposto, hanno messo insieme altri elementi e tratto le conclusioni. Anch’io, devo dire, sono rimasto sconcertato».

RAMPINI non vuole entrare in ulteriori dettagli ma risulta agli atti dell’inchiesta un altro particolare: davanti ai carabinieri, l’imprenditore ha messo a verbale di aver ricevuto la confidenza da parte di Marzia Corini che il testamento del 18 settembre (che secondo la procura è stato scritto dalla sorella e solo firmato dall’avvocato “plagiato”) sarebbe stato ulteriormente modificato successivamente alla morte di Corini. La scena è anche ricostruita. a verbale, da Isabò Barrack, che il 2 dicembre mette dichiara agli inquirenti di aver ricevuto da Marzia la “confessione” della falsificazione del testamento e di aver visto di persona che il documento del 18 settembre è stato modificato dopo la morte del compagno.

C.R