Voleva dimagrire ma morì per emorragia: medici a giudizio

Due chirurghi sono finiti sotto accusa dopo un intervento di bendaggio gastrico

Una sala operatoria (Foto d'archivio)

Una sala operatoria (Foto d'archivio)

La Spezia, 17 settembre 2014 - VOLEVA eliminare la «pancetta», camminare in scioltezza ma la dieta non sortiva gli effetti desiderati o quanto meno era difficile da rispettare, ogni singolo giorno. Decise così di sottoporsi ad un’operazione di contenimento del girovita, il cosiddetto «bendaggio gastrico». Un intervento chirurgico semplice che, però, è andato incontro all’imprevisto delle complicazioni, con necessità di rimettere mano, per due volte, ai tessuti allo stomaco. Un’escalation di problemi che si è rivelata letale: Marco Bertarini, 46 anni, è morto in ospedale, stroncato da un’emorragia gastrica innescata da un ulcera attiva non evidenziata all’atto dell’operazione e non emersa nei controlli post-intervento. Questa è la conclusione della perizia medico legale disposta dal pm Luca Monteverde che ieri ha chiesto e ottenuto dal gip Marta Perazzo il rinvio a giudizio per “negligenza e imperizia”, di due dei tre chirurghi intervenuti in sala operatoria, durante la seconda delle tre operazioni, quella rivelatasi fatale: i dottori Claudio Bianchi e Stefano Berti, rispettivamente difesi dagli avvocati Enrico Panetta (il primo), Daniele Caprara e Giuseppe Sciacchitato (il secondo).

La Asl 5, all’esito delle risultanze giudiziarie e sulla base degli affondi dei legali della mamma, del padre e del fratello della vittima - gli avvocati Barbara Vallini e Paolo Messuri - ha maturato il proposito di procedere al risarcimento. Di qui la conseguenza processuale: la mancata costituzione di parte civile. Sarà il processo penale ora a stabilire o meno se le conclusioni dell’accusa sono fondate.

La vicenda inizia il 22 marzo 2013, al Sant’Andrea, quando era stato inserito l’«anello» del bendaggio: un intervento mirato a ridurre le dimensioni dello stomaco. Marco, però, respirava male e il 5 aprile viene trasferito nel reparto di pneumologia dell’ospedale San Bartolomeo di Sarzana. Nemmeno il tempo di arrivare, e i sanitari, constatata la prima emorragia, decidono il dietro front: il problema respiratorio era ancorato alle complicazioni post operatorie, ma nessuno, per 14 giorni, se ne accorse, nonostante i dolori lamentati dal paziente. La seconda operazione elimina un’ulcera ma ai sanitari, secondo l’accusa, ne sfugge un’altra. Quella che innesca, tre giorni dopo, la terza l’emorragia, che impone una nuova operazione. Tre interventi nell’arco di due settimane. E il finale tragico: la morte per choc emorragico. La perizia ha evidenziato che c’erano già due ulcere, quando l’anello venne rimosso, ma solo una venne vista e curata. Questo avrebbe provocato la tragedia. Gli imputati, stimati professionisti di lungo corso, si difendono sostenendo la correttezza dei loro interventi e l’assenza di dati clinici che evidenziassero l’esistenza dell’emoraggia che successivamente ha portato alla morte del paziente.