Il ponte Revel imbrattato dai grafomani

Scritte insensate sui piloni metallici e anche sui vasi ornamentali della banchina. Ma perché?

Il ponte Revel

Il ponte Revel

La Spezia, 18 febbraio 2018 -  Bianco. Una silhouette da fare invidia alle belle donne. Asciutto, energico, tutto bulloni e corde tese a incrociare il cielo. Il ponte Thaon di Revel è uno dei sogni più belli che Spezia abbia partorito negli ultimi anni. Rigoroso, pulito, senza fronzoli. Il simbolo perfetto del necessario collegamento tra il cuore della città – quello che dal centro si snoda, attraverso i giardini, fino alla Morin – e il mare. E, più giù ancora, tra il mare e il porticciolo Mirabello. Gli spezzini, solitamente duri a metabolizzare i cambiamenti, anche e soprattutto quando riguardano lo stile architettonico del loro paesaggio urbano, fin dall’inaugurazione lo hanno accolto con entusiasmo. E lo hanno elevato al rango di appendice marinara dello struscio cittadino. Andare a fare due passi in centro, diciamocelo senza girarci intorno, vuol dire soprattutto, esaurito il circuito tra corso Cavour e via Prione, infilarsi sotto gli alberi di via Diaz e aspettare pazienti il proprio turno, abbarbicati al semaforo ‘intelligente’ del centro Allende. Poi, superare tutto d’un fiato viale Italia per ‘buttarsi di là’. Di là dalla Passeggiata, che arrivare fino al molo costa troppa fatica. Buttarsi di là dai Pescatori, ben oltre la linea che segna il confine tra l’odore di frittura e il rumore delle sagole. Un pezzo di salita, dolce, e poi il tek della passerella. Lo sguardo sulle Apuane, e sotto il mare. Bello. Bellissimo. Qualcuno però deve aver pensato che al ponte mancase qualcosa, che non fosse abbastanza vistoso nella sua asciutta linearità. Troppo bianco? Troppo slancio? Troppa pulizia? Una spiegazione deve esserci.

Fatto sta che lungo tutto il tratto di banchina che porta alla passerella, i giganteschi vasi che contengono terra e palme da settimane sono imbrattati con scritte nere e blu, di quelle comprensibili soltanto a chi le fa e alla ristretta cerchia degli adepti di non si sa bene quale ‘religione’ urbana. Parole insensate, almeno agli occhi degli attempati spettatori (come la sottoscritta). A me non piacciono, devo essere onesta. E non mi piace l’idea che il Comune, o chi per esso, debba spendere soldi per ripristinare, nella sua integrità, qualcosa che, in quanto patrimonio della collettività, dovrebbe meritare il rispetto dovuto a ciò che appartiene a tutti, e che ha un valore superiore a ciò che appartiene al singolo. Più avanti, la creatività distorta dei grafomani, ha dato il peggio di sé, accanendosi contro il pilone metallico che regge la struttura del ponte. Con un’aggravante: in questo caso i graffitari, che probabilmente agiscono di notte per sfruttare l’anonimato offerto dall’oscurità, hanno rischiato pure di finire in acqua, perché l’unico sistema per arrivare al basamento è quello di saltare a piè pari il braccio di mare che separa la banchina dalla passerella. Contenti loro...

Roberta Della Maggesa