Maltratta la figlia che fa l’occidentale, condannato il padre padrone

"Non sei una brava musulmana". E lei lo aveva denunciato

Tribunale (foto d'archivio)

Tribunale (foto d'archivio)

La Spezia, 28 maggio 2017 – Ai precetti islamici aveva preferito la vita all’occidentale, ma così facendo aveva attirato su di sé le ire del padre che, per farle cambiare idea, l’aveva sottoposta a ripetute vessazioni e violenze fisiche."«Non sei una brava musulmana..." era solito riperterle, minaccioso e manesco. Sofferenze quotidiane che la giovane, una ragazza di appena venti anni, nel giugno scorso, aveva trovato la forza di denunciare alla Polizia.

Ieri la ragazza, costituitasi parte civile nel processo attraverso l’avvocato Mauro Boni, ha avuto giustizia. Il giudice Diana Brusacà ha condannato il padre-padrone a due anni e sei mesi di reclusione e al pagamento di una provvisionale di 12mila euro a titolo di «iniziale» risarcimento danni, da liquindarsi poi in sede civile.

Lui, originario del Bangladesh, quarantaquattrenne, alla Spezia con la famiglia da dieci anni, difeso dall’avvocato Gabriele Dallara, ha sempre respinto gli addebiti; ha ammesso l’esistenza di dissidi, indotti dai mancati rientri a casa della figlia senza preavviso; ma ha negato di averla picchiata, umiliata.

Dalle carte dell’accusa, che hanno fatto centro del processo, è però emerso, invece, che l’uomo non si rassegnava all’idea di vedere la figlia abbracciare le mode occidentali, tanto da impedirle anche di uscire con le amiche, italiane. Rossetto, gonne e jeans erano praticamente al bando: la giovane avrebbe potuto vestire solo i tipici indumenti della tradizione. Ordini, questi, mal sopportati dalla ragazza, il cui tentativo di dribblare le imposizioni paterne spesso si rivelava doloroso. La ragazza è stata oggetto a più riprese di ingiurie, minacce e maltrattamenti fisici: presa a schiaffi, pugni e ’frustate’ con la cintura per non essersi conformata all’educazione rigida imposta dal padre.

Secondo il pm Claudia Merlino che fa svolto le indagini, e il viceprocuratore onorario Raffaele Giumetti che ha sostenuto l’accusa in aula, le cose sarebbero andate avanti così per mesi, fino a che la ventenne, ormai esasperata dai maltrattamenti, si era fatta coraggio, presentandosi in questura per denunciare le violenze a cui era sottoposta. La goccia che fece traboccare il vaso fu una punizione, consumata il 10 giugno dello scorso: dopo aver colpito la figlia, con una raffica di schiaffi, al volto e agli arti superiori, l’avrebbe costretta, minacciandola di altre botte, a stare un piedi per circa tre ore vicino al letto, senza muoversi.

Corrado Ricci