«Il molo Garibaldi tutto al commerciale. E attenti al rischio dei corridoi doganali»

Intervista al presidente degli spedizionieri spezzini, Alessandro Laghezza. Che spiega: «E’ fondamentale potenziare Santo Stefano: è il retroporto su cui investire per far sì che la ricchezza delle attività logistiche resti qua»

Alessandro Laghezza

Alessandro Laghezza

La Spezia, 16 aprile 2017 - IL PENNELLO davanti a Calata Paita per il nuovo Molo crociere si farà. E Alessandro Laghezza, presidente dell’associazione degli spedizionieri spezzini, lancia il sasso nello stagno: tutto il molo Garibadi deve tornare al commerciale. Un’affermazione forte, nel momento in cui un dossier del governo segnala un problema di sovracapacità dei porti italiani.

Laghezza, come motiva la richiesta di riportare i container sulla banchina ovest del Garibaldi?

«Io penso che il porto di Spezia per essere competitivo nei prossimi 10-15 anni abbia bisogno di raggiungere una massa critica tra 2 e 2,5 milioni di teu, quella a cui fanno riferimento la presidente dell’Autorità portuale e l’amministratore delegato di La Spezia container terminal. Credo che questo obbiettivo sia raggiungibile solo dedicando l’intero Garibaldi ai contenitori e interrando la marina del Canaletto e quindi realizzando anche quel molo».

In sostanza gli ampliamenti previsti dal piano regolatore portuale non sono sufficienti?

«Il piano regolatore prevedeva che le crociere si facessero sul molo crociere, non prevedeva che il Garibaldi fosse finalizzato ad attività crocieristica. Questa era stata una scelta provvisoria legata all’indisponibilità di altri approdi».

Negli ultimi due anni però i numeri del porto spezzino hanno dato segnali discordanti. C’è stata una crescita e poi un rallentamento.

«Sostanzialmente il porto di Spezia in questo momento ha raggiunto la saturazione dei volumi con gli spazi attuali. E’ difficile pensare di riuscire, senza nuovi investimenti, ad accrescere i traffici. Per fare degli esempi, in questi anni Genova è cresciuta più velocemente di Spezia».

Ma oggi c’è spazio sottoutilizzato, ad esempio quello di Tarros.

«Tarros è un sistema chiuso, dove noi spedizionieri non operiamo. Noi operiamo su La Spezia container terminal. Certo, siamo fortemente preoccupati che a un aumento dei volumi dovuto proprio a quegli investimenti che io rivendico possa non corrispondere un aumento di operatività per gli spedizionieri locali a causa dei corridoi doganali. Quindi benissimo che la città dedichi ancora spazio alla portualità e ai contenitori ma grande attenzione al fatto che questo vada a beneficio dell’indotto locale. Altrimenti è un sacrificio inutile».

In che modo i corridoi doganali potrebbero penalizzare gli operatori spezzini?

«Lo scopo del corridoio doganale è inoltrare senza alcuna procedura di controllo la merce sino agli interporti dell’interno, che per Spezia è Melzo, nel milanese. L’obbiettivo è spostare lì tutti i servizi a valore aggiunto, il momento doganale e la logistica. Questo penalizzerebbe fortemente l’indotto perché a un aumento dei contenitori non seguirebbe creazione di maggior valore sulla nostra città. Bene fare dei sacrifici ma attenzione a che il valore aggiunto rimanga qui».

Per voi il potenziamento di Santo Stefano potrebbe essere...

«Fondamentale. Fondamentale perché a Santo Stefano noi operiamo, abbiamo nostre attività logistiche e doganali. Quindi riteniamo che sia quello il retroporto sul quale investire per far sì che la ricchezza delle attività logistiche resti sul nostro territorio».

Su Santo Stefano sono in corso lavori nell’ambito di un progetto di rafforzamento. Non basta?

«Il progetto di Santo Stefano prevede l’accentramento dei controlli doganali ma quello a cui noi pensiamo è un più ampio sviluppo delle attività logistiche. Nel nostro convegno del 3 maggio lanceremo alcune idee. Sarà un convegno a tre, con Autorità portuale, spedizionieri e agenti marittimi, e avrà come tema l’analisi delle potenzialità del triangolo logistico La Spezia - Marina di Carrara - Santo Stefano».

Il potenziamento dell’uso del trasporto su rotaia previsto per il porto spezzino per voi è un vantaggio o un ostacolo?

«Diciamo che è inevitabile perché se si vogliono aumentare i volumi, praticamente raddoppiandoli, è necessaria una forte quota intermodale. Ma una cosa è l’intermodalità e una cosa è l’interpretazione dell’intermodalità come corridoio doganale. Il momento doganale e le attività connesse devono restare alla Spezia».

Ma quanto è concreta la prospettiva di un corridoio doganale spezzino per Melzo? Gli interesse degli spedizionieri in questo non coincidono con quelli dei terminalisti.

«Il tema è attuale. C’è un il rischio di rottura del sistema Spezia che funziona perché terminalisti, spedizionieri, agenti marittimi e doganalisti hanno creato un sistema coeso per migliorare l’efficienza complessiva dei processi. Qualora i terminalisti andassero nella direzione del corridoio doganale, offrirebbero loro direttamente i servizi doganali e logistici. Su Spezia siamo a noi che offriamo servizi alla merce, su Melzo loro offrono l’intero processo».

Quindi la situazione è delicata.

«Come spedizioniere da una parte io cavalco lo stesso disegno dei terminalisti di ampliamento del porto ma i nostri interessi divergono nel momento in cui si discute dove deve rimanere valore aggiunto, perché diventiamo concorrenti».

Quanto “pesate” sull’economia spezzina?

«Tra spedizionieri e agenti marittimi possiamo contare 550 posti di lavoro diretti, più l’indotto. Una stima del fatturato? Direi sui 200 milioni di euro».