Giovedì 25 Aprile 2024

La lady di ferro svedese contro Renzi. "Bruxelles non ama i Gian Burrasca"

Corazza Bildt: il Nord Europa vuole i fatti. La flessibilità? Una flebo

Anna Maria Corazza Bildt (AFP)

Anna Maria Corazza Bildt (AFP)

BOLOGNA, 7 FEBBRAIO 2016 - «NON È FACENDO il Gian Burrasca che si conquista credibilità a Bruxelles. Tutti questi dibattiti su lezioncine e compitini non impressionano nessuno. L’Europa del Nord ama i politici seri, che parlano con calma e che portano i fatti». Anna Maria Corazza Bildt, emiliana di nascita, naturalizzata svedese dopo il matrimonio con l’ex primo ministro Carl Bildt, al secondo mandato da europarlamentare nel Ppe, contesta le strategie del governo Renzi, diventato un partner rumoroso per l’Unione europea.

Cosa temono Juncker, i tedeschi e il blocco del Nord per reagire così alle richieste italiane?

«Che la flessibilità si traduca in un incentivo a non fare le riforme. Allargare le maglie sul deficit significa far crescere il debito pubblico in Italia. Che è in mano alle banche italiane, gravate da miliardi di sofferenze e costrette a chiedere aiuti a Bruxelles».

In sintesi, la paura è che il Nord sia costretto a pagare per i debiti italiani?

«Renzi deve rassicurare i tedeschi che le riforme andranno avanti, che la spending review si farà, che il debito pubblico peggiore d’Europa, quello italiano, sarà ridotto. A parte il Jobs Act, e lo dico da italiana, non è che abbiamo visto molte riforme. Le tasse sono sempre pesanti e la spesa pubblica non è stata toccata».

Sono queste le ragioni che limiteranno la flessibilità?

«La flessibilità non è una soluzione, è solo una flebo che non cura la malattia. L’Italia ha già avuto diverse flebo, è passata dall’1,8 al 2,4% di deficit, ha recitato la parte del leone nel fondo di investimento, in quel piano Juncker che ha dominato l’agenda europea per due anni. Il Nord non lo voleva, l’Italia è riuscita ad ottenerlo».

Ammetta però che a Bruxelles ci sono troppe sopracciglia alzate quando si parla d’Italia...

«Non è vero, l’Italia è rispettata. Sia Juncker che Manfred Weber non ne mettono in discussione il ruolo. Però Irlanda, Grecia, Spagna e Portogallo hanno tagliato miliardi di euro di spesa pubblica. L’Italia solo l’1%. La flessibilità è il nostro biglietto da visita, invece dovrebbero esserlo le riforme».

Come giudica le critiche di eurocrati come Martin Selmayr, capogabinetto di Juncker?

«Selmayr dovrebbe stare zitto. Noi vogliamo una commissione politica, guidata dai commissari e non dai funzionari. Gli italiani hanno ragione, non sta a loro commentare quello che fa un Paese. Ma, rispetto alla commissione Barroso, con Juncker c’è stato un grande salto: ci sono commissari che sono stati premier, altri ministri. E hanno mandato pieno a fare la politica dell’Unione».

Lei è molto impegnata sulla questione migranti. Non pensa che l’Europa sia divisa in quattro?

«Lei è ottimista, io vedo un’Unione divisa in 28. Quello che sta facendo l’Italia è eccezionale. Sono stata sulla fregata Bergamini e a Lampedusa, in Europa dico a tutti che Renzi ha ragione, che la Marina italiana ha salvato migliaia di vite, che se il Mediterraneo non è più un mare di morte e i trafficanti hanno dovuto scegliere altre rotte, è merito dell’Italia. Ma Roma non può continuare a chiedere sconti, non è l’unico Paese a occuparsi di rifugiati. La Svezia ha 9 milioni di abitanti e ospita 163mila profughi, 33mila bambini non accompagnati. Destina l’1,5% del Pil sui migranti, 7 miliardi di euro. Se l’Italia avesse le stesse percentuali spenderebbe 30 miliardi. Io batterei i pugni contro Paesi che non fanno nulla, il blocco dell’Est, la Francia e la Spagna».