La calamità innaturale

L'editoriale

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

Firenze, 21 settembre 2014 - «Agli zoppi, grucciate», si commenta in Toscana quando le disgrazie si accaniscono su chi ne ha già in abbondanza. Venerdì mattina avevamo sul tavolo le cifre della vendemmia 2014, previsioni incoraggianti che collocavano Toscana e Umbria sul podio dei migliori produttori, con un segno «più» - rispettivamente del 3 e del 10 per cento - perfino a dispetto di un lamento nazionale generalizzato. Un sospiro di sollievo nell’inferno dell’economia regionale, calpestata dall’estate malandrina che ha maltrattato l’industria del turismo balneare. Qualche ora dopo, nel pomeriggio, entusiasmo e ottimismo erano già compromessi, per via di quei dieci minuti di follia meteorologica che hanno sconvolto il fazzoletto di Toscana, dove per l’appunto si è concentrato il fortunale. Grucciate alle aziende agricole, al vino, al florovivaismo, grucciate al distretto dei beni culturali, tutti presi a schiaffi dal maltempo. A Firenze il tornado ha scoperchiato le tombe del cimitero degli inglesi, che ispirò l’Isola dei morti, il celebre dipinto del pittore svizzero Arnold Bocklin.

HA FATTO sbarrare gli occhi al personale dell’Orto botanico, paralizzato di fronte a un patrimonio distrutto irreversibilmente; ha fatto tremare gli Uffizi e i custodi della Biblioteca nazionale, che si sono precipitati per mettere in salvo i libri bagnati dall’acqua e strappati dal vento. L’uragano ha riportato la memoria indietro di quasi cinquant’anni, e risvegliato i fantasmi dell’alluvione del ’66. Chi ha potuto si è rimboccato subito le maniche, come allora, senza piagnistei, perché il nostro è un popolo di brontoloni ma anche di pragmatici e non ama perdere tempo. Ma i danni sono andati molto oltre i beni culturali, perché la tormenta ha preso a spallate le scuole più fragili - rinnoviamo l’allarme: chi si occupa di edilizia scolastica dopo l’abolizione delle Province? - e le abitazioni dell’Empolese. In questi casi parte la solita domanda: ora che si fa? E ci viene incontro la solita risposta istituzionale, che ascoltiamo in momenti del genere: chiederemo lo stato di calamità naturale.

Evvai! Ma che vuol dire? Soprattutto: porterà un aiuto economico, di che entità e a chi? E questo governo, che sta raschiando il barile per coprire gli impegni presi, in quali tasche andrà a frugare per trovare altri soldi? La calamità naturale è ormai un totem nudo, la domanda di un soccorso straordinario che si ripete con una ordinaria periodicità. Il climatologo Giampiero Maracchi ha avvertito che fenomeni come quello di venerdì non sono prevedibili e potranno ripetersi con frequenza: non è un menagramo, è l’esperto che lancia un allarme serio. Il governatore della Toscana, Enrico Rossi, con un guizzo di realismo, ieri ha strappato la foglia di fico all’emergenza che ora è diventata normalità. Siccome non siamo capaci di impedire i disastri, bisogna adattarsi e prepararsi a sostenere chi subisce i danni. Serve insomma un quadro legislativo che faccia chiarezza sui risarcimenti, che distingua le vittime di un allagamento da quelle di un’alluvione, stabilendo anche - come ha chiesto il governatore - precisi riferimenti assicurativi. Anche questa, delle calamità (in)naturali - ce ne sono così tante che finiscono per diventare (in)naturali - dovrà entrare nell’agenda delle priorità dei governi, nazionale e locali. Nell’Italia che cambia verso, intanto è cambiato il clima. E non basta più aprire l’ombrello.