L'integrazione possibile

L'editoriale

PIERFRANCESCO DE ROBERTIS

PIERFRANCESCO DE ROBERTIS

Firenze, 14 febbraio 2016 - A volte la Storia va letta raccogliendo le briciole della cronaca, e stavolta è dalla cronaca «piccola» che partiamo. Da un accordo firmato in settimana prima a Firenze e poi a Torino tra la comunità islamica e l’amministrazione municipale, accordo in base al quale - tra gli altri impegni - le comunità stesse garantiscono l’adesione ai principi e ai valori della nazione cui i cittadini di fede islamica fanno parte, e come primo atto di una auspicata integrazione si obbligano a recitare in italiano le preghiere del venerdì. Due giorni fa nella moschea improvvisata di Firenze (in attesa che venga costruita una vera e propria «chiesa» musulmana) e in quella di Torino, i tradizionali sermoni sono stati per la prima volta pronunciati in italiano. Il sindaco di Firenze Dario Nardella, fautore dell’iniziativa insieme al presidente dell’Ucoi Izzedin Elzir, ha giustamente messo in rilievo il modello che scaturisce dall’intesa.

Si tratta in effetti di un unicum italiano, una possibile terza via rispetto all’antistorico rifiuto di qualsiasi forma di integrazione da parte sia dei tanti Salvini de ‘noantri sia delle comunità straniere più chiuse, o all’opposto rispetto ai sostenitori di quel minimalismo culturale che porta a svilire la nostra cultura fino ad annullarla di fronte all’arrivo in casa nostra di stranieri con usi e tradizioni diverse. Chi viene da noi, in sostanza, deve rispettare le nostre leggi e deve impegnarsi a integrarsi, per prima cosa usando la nostra lingua per recitare il proprio credo. E la questione idiomatica non è secondaria, perché implicitamente simbolo di una diversità che a questo punto e secondo le nuove regole si accetta in qualche modo di condividere.

Nessun recinto quindi, ma porte aperte a un confronto coraggioso e rivolto al futuro. Come con lo sguardo verso la modernità deve essere contraddistinta ogni discussione intorno all’edificazione di nuove moschee, di cui si parla da tempo in diverse città italiane, non ultima Firenze. In Toscana, parrà strano, esiste una moschea a Colle Val d’Elsa ma non a Firenze, nonostante che i fedeli musulmani siano ovviamente in numero maggiore. xxxx I no alla costruzione di una moschea nel capoluogo toscano sono non solo sbagliati dal punto di vista teorico, ma soprattutto pratico perché solo con una moschea si potrà procedere nel cammino di una integrazione possibile e gli eventuali fanatici controllati e individuati. Più idee e meno ideologie, in sostanza, questo serve. Come l’accordo di Firenze.

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