Firenze, 25 gennaio 2015 - GENTILE direttore, leggo che a Pontedera hanno chiamato una bambina Jihad. Chiaramente i genitori saranno di fede islamica e io per questo li rispetto. Non comprendo però perché abbiano voluto imporre a una creatura un nome che qui da noi, in occidente, richiama la lunghissima scia di sangue lasciata dal terrorismo. Che sarà di lei da grande?
Simona Pacini, Pisa
DOBBIAMO sentire, e accettare, anche questa. Una bambina registrata all’anagrafe di Pontedera con il nome di Jihad. L’imam si è affrettato a spiegare che il significato, tra i tanti, è di «colei che lotta». Si potrebbero però interrogare i genitori se pensavano alla «grande Jihad», ovvero allo sforzo etico e spirituale al quale tendere, oppure alla «piccola Jihad», ovvero alla guerra santa da combattere contro gli infedeli. Gli esperti sostengono che, sia a livello storico dal Corano in poi, sia a livello sociologico, il significato odierno sia proprio quello diciamo «offensivo» e non l’altro, mistico. Due anni fa a Sourgues, in Francia, la t-shirt di un bambino con la scritta «Jihad, nato l’11 settembre» costò una condanna alla madre e allo zio. A Berlino, solo dopo una lunga vicenda giudiziaria, si consentì a un sospetto terrorista legato all’attentato di Bali (200 morti) di chiamare Jihad il proprio figlio. A Pontedera hanno le idee più chiare: il nome non è stato ritenuto né ridicolo né vergognoso, quindi rispettoso della legge. Auguri di cuore (solo) alla bimba la quale, piccina, chissà a quante domande dovrà rispondere in Italia.