Mercoledì 24 Aprile 2024

Se una bambina si chiama Jihad

Il Vicedirettore de La Nazione risponde ai lettori

Il vicedirettore de La Nazione, Mauro Avellini

Il vicedirettore de La Nazione, Mauro Avellini

Firenze, 25 gennaio 2015 - GENTILE direttore, ​leggo che a Pontedera hanno chiamato una bambina Jihad. Chiaramente i genitori saranno di fede islamica e io per questo li rispetto. Non comprendo però perché abbiano voluto imporre a una creatura un nome che qui da noi, in occidente, richiama la lunghissima scia di sangue lasciata dal terrorismo. Che sarà di lei da grande?

Simona Pacini, Pisa

DOBBIAMO sentire, e accettare, anche questa. Una bambina registrata all’anagrafe di Pontedera con il nome di Jihad. L’imam si è affrettato a spiegare che il significato, tra i tanti, è di «colei che lotta». Si potrebbero però interrogare i genitori se pensavano alla «grande Jihad», ovvero allo sforzo etico e spirituale al quale tendere, oppure alla «piccola Jihad», ovvero alla guerra santa da combattere contro gli infedeli. Gli esperti sostengono che, sia a livello storico dal Corano in poi, sia a livello sociologico, il significato odierno sia proprio quello diciamo «offensivo» e non l’altro, mistico. Due anni fa a Sourgues, in Francia, la t-shirt di un bambino con la scritta «Jihad, nato l’11 settembre» costò una condanna alla madre e allo zio. A Berlino, solo dopo una lunga vicenda giudiziaria, si consentì a un sospetto terrorista legato all’attentato di Bali (200 morti) di chiamare Jihad il proprio figlio. A Pontedera hanno le idee più chiare: il nome non è stato ritenuto né ridicolo né vergognoso, quindi rispettoso della legge. Auguri di cuore (solo) alla bimba la quale, piccina, chissà a quante domande dovrà rispondere in Italia.