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"Una bellissima bugia", il cortometraggio di Santoni sulla distrofia di Duchenne

Sul set del corto "Una bellissima bugia"

Sul set del corto "Una bellissima bugia"

Grosseto, 6 gennaio 2016 - Ciak, si gira! Al museo archeologico e d'arte sacra di Grosseto, sul set del cortometraggio "Una bellissima bugia" di Lorenzo Santoni, allievo del regista Francesco Falaschi, abbiamo incontrato gli attori protagonisti Paolo Sassanelli, premiato con il Nastro d’argento 2014, e Beniamino Marcone, alias Fazio nella serie tv "Il giovane Montalbano" tratta dai racconti e romanzi di Camilleri.

Il corto è prodotto in collaborazione con la Scuola di cinema e la Fondazione Grosseto Cultura. Ne parliamo con il regista, il ventiquattrenne Lorenzo Santoni, che ha già scritto, girato e montato circa 10 progetti. Ed è difficile non emozionarsi.

Come è nata l'idea?

"L’input iniziale l’ho avuto durante una lezione della Scuola di cinema di Falaschi, quando noi allievi abbiamo mostrato i nostri lavori. Il mio corto fu molto apprezzato, e mi spinsero a cercare di scrivere una storia più ampia, che conservasse lo stesso messaggio e la stessa forza. L’idea vera e propria l’ho avuta una mattina, mentre aspettavo che Vasili, il ragazzo che mi assiste, comprasse il pane. Ero rimasto solo, fuori dal panificio, e immaginai che fosse l’unica occasione per un incontro inaspettato, col personaggio del cortometraggio".

Di cosa parla il corto? 

"La trama è semplice: un ragazzo con la mia stessa malattia (la distrofia muscolare di Duchenne, ndr) incontra un uomo che afferma di essere guarito da una patologia simile. Da lì nasce un fitto dialogo, dal quale emerge la vita del protagonista, in tutte le sue sfaccettature. Dal canto suo, lo sconosciuto gli rivelerà una sconvolgente verità".

Che ne pensi delle interpretazioni di Sassanelli e Marcone?

"Sono stato incredulo di fronte alla loro recitazione. Beniamino è riuscito a calarsi completamente in un ruolo molto difficile, imitando alla perfezione i difetti della voce e le pause che caratterizzano la mia malattia. Paolo ha reso perfettamente il mistero e il fascino che doveva avvolgere il suo personaggio, e lo spirito fraterno che doveva dimostrare. Non è un caso se ha vinto il Nastro d’Argento. Vedere il frutto della mia immaginazione interpretato da due ottimi attori come loro è impagabile… Quindi non posso che ringraziarli per essersi prestati a questa storia".

Cosa ti ha dato la Scuola di cinema diretta da Falaschi?

"Una cosa fondamentale: l’esperienza. Dall’idea al set, con la Scuola ho imparato a lavorare a un progetto cinematografico dall’inizio alla fine, acquisendo il metodo che viene utilizzato in ogni produzione che si rispetti. Inoltre ho trovato persone disponibili e gentili che, oltre ad essere professionisti del campo, ti aiutano a sviluppare i tuoi progetti personali e cercano di darti gli strumenti adatti ad affrontare un mondo molto competitivo, ma estremamente affascinante".

Quanto di te c'è in questa storia?

"Molto, se non tutto. Oltre al fatto che Luca, il protagonista, condivide la mia stessa situazione, ha anche un carattere molto simile al mio. Inoltre le storie che racconta per il 90 per cento dei casi sono successe davvero a me, e Vasili ha interpretato sé stesso. Però condivido il modo di fare dello Sconosciuto: alla fine, posso dire di essere la somma dei due personaggi, o loro sono due aspetti di me«.

Con chi ti piacerebbe lavorare?

"In questo momento mi piacerebbe vedere ancora Beniamino vestire i panni del mio alter ego: ho già pronti per lui alcuni soggetti pro-handicap. Vorrei che diventasse il mio Jean-Pierre Léaud... Magari fossi Truffaut! In futuro sarebbe bello poter lavorare anche con Elio Germano, che considero tra i migliori attori italiani dopo la prova ne Il giovane favoloso, e Filippo Timi, che ha nelle sue corde sia recitazioni drammatiche, come Vincere, sia prove decisamente spassose, come I delitti del Bar Lume".

Da cosa trai ispirazione?

"Da qualsiasi cosa mi passi sott’occhio o che legga. Ogni film o documentario o serie che vedo, libro o fumetto che leggo, perfino le musiche e canzoni che ascolto o i videogiochi, lasciano in me una traccia che, prima o poi, riemerge e si riaggrega con un'altra, e così via. Cerco la scintilla in ogni possibile pietra focaia, senza preconcetti. Penso che ogni creazione dell’uomo possa ispirarne un’altra. Oppure, come in questo progetto, dalla mia esperienza personale".

Qual è il momento più elettrizzante nella nascita di un corto o di un lungometraggio?

"Il momento più eccitante è quando hai la folgorazione dell’idea, e vedi una strada mai tracciata prima aprirsi davanti a te. Ti senti davvero bene e non vedi l’ora di buttare giù il soggetto. Interessante è anche quando ti metti a scrivere la prima stesura della sceneggiatura ed escono fuori i dialoghi e le battute: generalmente faccio delle belle risate dentro di me perché le scrivi senza pensarci troppo. Di sicuro il momento più brutto è quando la sceneggiatura è pronta e non vedi l’ora di girare, ma non puoi farlo, e ti arrovelli, giri per casa come un carcerato, leggi e rileggi il copione, cambiando tutte le virgole. Rischi seriamente di impazzire, e faresti meglio a darti all’ippica, ma sarebbe ancora più pericoloso. Alla fine arriva il giorno fatidico, e tutti i patimenti spariscono, e pensi che ne sia valsa la pena di soffrire un pochino".