Grosseto, 5 aprile 2014 - Il delitto di Villa Adua, il 4 novembre scorso, è l’ultimo dei tre omicidi commessi in provincia di Grosseto dall’estate scorsa, sui quali hanno indagato i carabinieri. Tre gravi casi risolti positivamente in pochi mesi. Omicidi diversi tra loro per protagonisti, motivazioni, modalità esecutive, tutti conclusi con prove schiaccianti, al punto che due autori hanno confessato, Mirko Fiorini (in carcere per avere ucciso Cuko Klevis) e Sergio Bertini (che ha confessato di avere ucciso la compagna Irina Meyntser).

In tutti i delitti sono state determinanti le prime ore delle indagini, nel caso delle due donne, Irina e Francesca Benetti, a partire dalla ricezione della denuncia di scomparsa, per definire un quadro di riferimento la cui completezza ha consentito, sin da subito, l’individuazione delle cause dell’evento e, soprattutto, dei soggetti da «tenere d’occhio».

Alla base delle indagini una stessa metodologia: il lavoro di squadra inteso come l’integrazione delle competenze e delle capacità individuali, nell’ambito della quale ognuno è protagonista ideativo e partecipativo, in grado di fornire un apporto utile per il raggiungimento dell’accertamento della verità.

Fondamentale è stata l’integrazione fra le componenti territoriali e speciali dell’Arma. A partire dalla stazione carabinieri, sulla cui centralità per la sicurezza del territorio è stato sempre posto l’accento. Qui si reca il compagno di Francesca Benetti, alla tenenza di Follonica, il pomeriggio del 4 novembre, per denunciare la scomparsa della donna.

L’attenzione e la sensibilità del maresciallo che raccoglie la denuncia, insospettito da una vicenda le cui incongruenze emergono immediatamente, rappresentano la premessa per i primi accertamenti. La conoscenza del territorio, la completezza della raccolta delle informazioni preliminari sulla vicenda e sulle possibili ragioni della scomparsa, integrata dalle competenze investigative del Reparto operativo del comando provinciale di Grosseto, consentono il tempestivo avvio delle indagini e delle prime attività tecniche autorizzate dalla procura della Repubblica di Grosseto, con il procuratore capo in persona e i sostituti Salvatore Ferraro e marco Nassi.

Poche ore dopo la denuncia, il dispositivo, la «rete» è stata organizzata. Bilella, inconsapevole dell’attenzione dei carabinieri, porta una sua autovettura (una Fiat Punto bianca) a rottamare, dopo averne asportato un pianale dal bagagliaio, del quale tenterà di disfarsi nelle campagne maremmane sotto gli occhi degli stessi carabinieri che non lo mollano un attimo, con un pedinamento durato tre giorni. È la gravità di questi indizi che determina il fermo disposto dalla procura della Repubblica. Non solo. Sono i rilievi scientifici, effettuati dagli specialisti del Raggruppamento investigazioni scientifiche di Roma a definirne la gravità. Sono loro che rilevano le tracce di sangue nel bagagliaio dell’auto che Bilella aveva cercato di rottamare e che, dall’esame del Dna, sono risultate essere di risultano di Francesca Benetti.