Grosseto, 6 marzo 2014 - C’È CHI lo chiama il mistero della morte. C’è invece chi sta lì a pensarci per un giorno intero e non non riesce a capire il perché. Il perché bisogna morire a 28 anni, all’alba della vita, il perchè una malattia subdola e ingannevole deve accompagnarti fuori dalla vita senza nemmeno darti la possibilità di lottare. Martina Murziani tutti questi perché se li è portati via con sè. La bellissima miss di Roccatederighi non è riuscita a dare una spiegazione a tutti coloro che ieri pomeriggio l’hanno vista arrivare dentro un feretro bianco nel cuore del paese che gli aveva dato i natali. Soltanto 28 anni fa. Con gli occhi gonfi e i volti sferzati da una tramontana infida. Ma tutti lì. Amici, conoscenti, anziani di quel piccolo piccolo paese arrampicato sulle colline che da ieri è sicuramente più povero. Martina ha lasciato un vuoto immenso nel cuore di tutti. Morta dopo una malattia straziante, l’ex modella che aveva partecipato anche a Miss Italia, non aveva perso quel sorriso solare e unico neppure negli ultimi giorni di vita.

 

Un passato tra fasce, applausi, corone e passerelle. Fino a raggiungere quella più ambita, nel 2007, quando la giovane di Roccatederighi passeggiò tra gli applausi anche a Salsomaggiore. Fisico mozzafiato, carnagione scura, occhi penetranti. Che nascondevano l’orribile male che si stava «agitando» in quel corpo sinuoso. La chiesa di San Sebastiano, dove gli è stato dato l’ultimo saluto, non ce l’ha fatta a contenere tutta quella gente che ha raggiunto la piazzetta della chiesa in silenzio, «abbracciando» metaforicamente la famiglia di Martina, accolta da un profondo abbraccio da chi quella ragazza l’aveva vista crescere, giocare, passeggiare in paese e poi anche ricevere applausi addirittura alla televisione.

 

«A lei piacevano tanto i fiori» ha detto una signora appoggiata e con la testa bassa proprio sullo spigolo della piccola chiesetta. Su quella bara color avorio di fiori ce n’erano tanti: margherite e rose. Tutte rigorosamente bianche, quasi una pennellata in tanto strazio e cupezza. Più il tempo passava e più Roccatederighi si avvicinava. Mentre don Cesare celebrava il rito funebre, la piccola strada che porta nel cuore del centro storico e alla chiesa di San Sebastiano, si è riempita di paesani. Tristi e sconsolati. «Ha finito di patire» ha sussurrato un anziano appoggiato ad un bastone mentre il feretro entrava in chiesa. Altra metafora, altro mistero. Senza spiegazioni.
Matteo Alfieri