di MATTEO ALFIERI

Firenze, 1 novembre 2013 - Sul letto. Dopo aver lottato per alcuni secondi. Irina Meyntser è morta lì, strangolata dalle mani potenti di Sergio Bertini, il suo compagno che da qualche mese l’aveva relegata in un angolo della sua vita, divorato da una gelosia senza senso. La colf ha lottato per alcuni secondi, interminabili. Cercando di togliere le mani che gli cingevano il collo, graffiando le braccia del suo «compagno-carnefice», lasciando l’ultimo segno indelebile delle sue unghie, graffi che alla fine lo hanno inchiodato di fronte alle sue responsabilità.

E’ durato circa sette ore il sopralluogo dei Ris, il reparto investigativo scientifico dei carabinieri, arrivato appositamente da Roma ieri mattina per cercare riscontri sul delitto di via Ansedonia. Una squadra con almeno quindici militari è entrata al terzo piano della palazzina e ha minuziosamente controllato tutto. Segnali che potessero ricondurre e magari confermare quello che Sergio Bertini aveva raccontato di fronte al giudice per le indagini preliminari Marco Bilisari e ai due magistrati Laura D’Amelio e Marco Nassi che lo hanno accusato di omicidio volontario e occultamento di cadavere.

La successiva bonifica dell’appartamento è stata propedeutica alla perquisizione investigativa effettuata dai carabinieri della Procura, che stanno proseguendo nelle loro indagini che si indirizzano soltanto, dopo aver formalizzato tutte le caselle incerte, su come Sergio Bertini si possa essere sbarazzato del cadavere con tanta semplicità.

La certezza è che l’auto dove il corpo ormai senza vita di Irina Meyntser è stato caricato è la Yundai Terracan di proprietà proprio di Bertini. Il tecnico informatico, infatti, dopo averla strangolata, l’ha avvolta in una coperta, l’ha portata in braccio per le scale (probabilmente durante la notte), e l’ha messa nel capiente bagagliaio.

Gli investigatori devono sciogliere proprio questo ultimo dubbio: controllare cioè se Sergio Bertini, per nascondere il cadavere di Irina, ha agito da solo (come sembra) oppure no. Prima di arrivare all’Argentario, infatti, è ormai assodato che Bertini abbia «vagato» senza meta anche in città, magari per cercare un punto dove scaricare quella presenza troppo ingombrante. Luogo trovato poi sulla cima nel burrone di Punta Ciana. Dove ha lanciato il corpo nel vuoto della sua compagna. E aprendo uno squarcio nella sua vita che sarà difficile da rimarginare.