Isola del Giglio (Grosseto), 19 settembre 2013 -  SUCCEDE quando la motovedetta della Guardia Costiera affianca la vetrata del ristorante Milano, quello dove Schettino consumò con Domnica la cena prima di salire in plancia e portare per guasconeria la Concordia a morire sugli scogli. Lì, il respiro si ferma. Perché l’immagine è incredibile: i tavoli del salone sono ancora apparecchiati come la sera del naufragio, la tovaglia è quella bianca che i camerieri stesero per preparare il secondo turno della cena. Anche qualche sedia è rimasta non si sa come in piedi. Ti aspetti quasi che da un momento all’altro qualcuno passi a prendere l’ordinazione, magari il cameriere che serve uno scotch a Jack Nicholson in Shining. Fantasmi, appunto. Ma in fondo anche questa è una nave di spettri e di sogni infranti. Di ombre e di memoria di dolore.


LA COSTA Concordia in questi 20 mesi l’abbiamo vista e fotografata da molte posizioni. Ma osservarla da pochi metri, fin quasi a poterla toccare, dà i brividi. Qui, ieri mattina, la Capitaneria ha portato i familiari dei due dispersi in una sorta di pellegrinaggio degli affetti. Kevin Rebello, Elio e Stefania Vincenzi hanno così potuto toccare con la mano la fiancata del transatlantico, ad accarezzare idealmente i propri cari dispersi lì sotto. E qui, anche noi abbiamo potuto vedere da vicino, per la prima volta dal 13 gennaio 2012, questo gigante senza vita che adesso sembra come inginocchiato davanti al Giglio, quasi a fare stavolta davvero un inchino all’isola. Gli spettri, dicevamo.
 


ANCHE LA SALA comando, quella da cui Schettino lanciò gli ultimi drammatici comandi, «rotta 325, rotta 325!» nel tentativo di evitare l’impatto, sembra un luogo di fantasmi e di rimorsi. L’acqua ha rotto solo i due vetri nel mezzo della plancia, mentre tutti gli altri riflettono la strumentazione spenta del gigante senza più vita elettrica. Mossa dal libeccio, una porta interna si apre e si chiude cigolando mentre intorno i gabbiani alzano il loro canto stridulo che sembra quasi il fischio tardivo dell’abbandono nave. L’immagine è decadente, neogotica. Fa quasi a pugni con la fiancata integra della Concordia, quella che non è mai stata sommersa. La pilotina CP 306 la sfiora e vedi sui terrazzini delle suite le sdraio come le avevano piazzate i passeggeri, ipotizzando una crociera di sole e non di morte. Già, la divisione fra il sole della vita e il nero della morte. La percepisci netta quando sfili davanti alla poppa.


LA CORROSIONE del mare ha infatti diviso la nave come in due anime. Da una parte il Rex scintillante di Fellini, dall’altra i drappi scuri del vascello fantasma dell’olandese volante. Così, se dalla parte della poppa rimasta emersa vedi ancora i vetri puliti delle cabine e le ringhiere scintillanti, dall’altra il fango dei fondali ha dato al tutto un colore cupo, un marrone notturno. La giusta introduzione per l’ultimo lato della Concordia, la fiancata di dritta rimasta 20 mesi sotto il mare. Uno spettacolo infernale.
 


SEMBRA davvero che una bomba l’abbia deformata, le porte divelte, i vetri infranti, le sedie e il materiale accatastato come nei magazzini dei contadini, perfino un asciugamano abbandonato da chissà chi a sventolare sulle lamiere contorte. Sembra di rivedere dal vivo altre istantanee di morte, il condominio di via D’Amelio, i Georgofili sventrati dal tritolo mafioso. Altre tragedie, altri dolori, altri lutti. È tempo di tornare in porto. C’è un vento malinconico di libeccio. L’autunno, intanto, tarda ad arrivare.