Grosseto, 2 giugno 2013 - L’orizzonte è datato 2020. Quell’anno — in attesa di ulteriori rinvii — scadranno le concessioni demaniali da rimettere all’asta secondo quanto previsto dalla direttiva europea Bolkestein, recepita dall’Italia nel 2009. Uno spettro per tanti gestori di stabilimenti balneari (innanzitutto) e anche camping, alberghi, bar e discoteche che hanno sede su quelle concessioni, visto che potrebbero veder sfumare il lavoro e i capitali di una vita. Ma gli effetti di quella mannaia si fanno sentire già adesso, perché il presente di tanti imprenditori balneari è fatto di investimenti bloccati, strutture non ammodernate e taglio dei posti di lavoro. «Come immagino il litorale di Marina nel 2020? Qui sulla spiaggia non ci sarà più niente, piazza pulita — dice Antonio Smeragliuolo, gestore dello stabilimento balneare Paperino a Marina di Grosseto e delegato regionale di Itb Italia, sindacato indipendente che riunisce gli imprenditori turistici del settore — a meno che non si risolva la questione delle concessioni demaniali. Rischiamo di perdere tutto, nonostante lo Stato ci considerasse aziende turistiche senza un termine».

 


La situazione è drammatica: «Gli investimenti dei gestori sono bloccati già da un anno, nessuno può permettersi di investire per le manutenzioni e il rinnovo delle strutture, né di garantire tutti i contratti stagionali del personale. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: alcuni stabilimenti balneari saranno presto fatiscenti, perché nessuno ha certezze sul futuro. Qui non parliamo di società, di imprese: per il 90% siamo famiglie, ci abbiamo investito la vita e dobbiamo fare i conti con i mutui e le ipoteche. La mia famiglia, ad esempio, gestisce a Marina lo stabilimento balneare Paperino dal 1980 e l’abbiamo completamente rinnovato nel 2008 con un notevole investimento». Oltre ai mutui, ad appesantire i bilanci dei balneari ci sono pure le tasse da pagare. «Basti pensare — dice Smeragliuolo — che la Tarsu a nostro carico ammonta a due euro al metro quadrato, non solo per la struttura ma anche per la spiaggia. Poi c’è l’Imu: abbiamo chiesto la sospensiva, ci è stata negata. Alla fine, per uno stabilimento balneare di medie dimensioni, imposte e tasse pesano per 6-7mila euro all’anno». Il tutto in un periodo non proprio florido per l’economia globale. «Le spese per le vacanze sono le prime a saltare in un budget familiare. E quest’anno la stagione non è ancora cominciata».


Crisi a parte, i balneari non si rassegnano alle concessioni «a scadenza». E la mobilitazione continua. «Noi di Itb — conferma Antonio Smeragliuolo — abbiamo presentato una proposta di legge che prevede il riscatto del diritto di superficie, come si fa con le case popolari. Così faremmo incassare lo Stato ed eviteremmo di mettere le nostre attività nelle mani di società e multinazionali che non avrebbero alcun interesse alla cura delle imprese balneari. Una precisazione: non chiediamo la spiaggia (per quella continueremo a pagare i canoni annuali allo Stato e ai Comuni) ma solamente la superficie di terreno sulla quale abbiamo costruito le nostre attività. Tra due settimane saremo a Roma, al ministero delle Infrastrutture, dove è convocato un incontro con il ministro del Turismo, tutti i sindacati e i partiti: ci aspettiamo che la nostra proposta possa trovare adesioni. In ogni caso, vorrei rassicurare i miei colleghi imprenditori balneari: una soluzione si troverà». Magari con il diritto di superficie. Oppure garantendo agli attuali titolari delle concessioni una proroga di settant’anni, come in Spagna.