Grosseto, 2 maggio 2013 -  LUI, per la verità, ci aveva anche provato a dire qualcosa. Il silenzio che (così almeno dice lui) gli era stato imposto era stato «rotto» da qualche post su facebook. E da qualche discussione sui blog. Adesso, Mario Galasso, 72enne insegnante di storia dell’archeologia all’Istituto di arte e restauro di Firenze, che per oltre 20 anni ha perlustrato palmo a palmo i fondali del Giglio alla ricerca di relitti da studiare e riportare alla luce, ha deciso di uscire definitivamente allo scoperto. Denunciando il fatto che due relitti antichissimi (di epoca ellenistica, circa 220 A.C.) sono stati spazzati via dalla Concordia. Già, proprio dal transatlantico naufragato al Giglio che, chinandosi su un fianco alla Gabbianara, ha schiacciato quello che rimaneva di due insediamenti di importanza eccezionale. L’archeologo lo sostiene snocciolando documenti che comprovano il gravissimo danno storico del naufragio. Sì, perché, dopo aver studiato tutto lo specchio di mare che va dal lazzeretto alla Gabbianara era riuscito anche ad individuare i due relitti. Una «ricognizione» veloce che restituì anfore di tipo greco-italico, sane e integre, alcune delle quali esposte tuttora alla torre spagnola di Porto Santo Stefano. Quello che sconcerta è che i relitti (naufragati a 25 anni di distanza) si trovavano tra i 38 e i 28 metri di profondità. Proprio sullo sperone di roccia che in questo momento sta «sorreggendo» la nave da crociera.

«Si vedeva anche quello che rimaneva dello scafo — inizia Mario Galasso —. Purtroppo in quegli anni era programmato lo scavo del Campese con l’università di Oxford che portò alla luce il relitto del Mercante, i cui tesori che sono tornati alla luce adesso si trovano al museo archeologico nazionale di Firenze. Decidemmo di posticipare gli studi tenendo ben nascosti, comunque, i punti precisi per evitare che tombaroli senza scrupoli si immergessero vicino alla riva e in un basso fondale». Tutto inutile. Tutto andato irrimediabilmente perso per colpa di quel gigante di acciaio: «Nessuno in questi mesi ha voluto che se ne parlasse e lo Stato — prosegue lo studioso — ha perso la possibilità di rivalersi sulla compagnia per il danni subiti dal patrimonio storico e artistico».

Quello che si sarebbe potuto trovare, con uno scavo approfondito di tutta la zona, nessuno può dirlo. Nemmeno il professor Mario Galasso. Le uniche cose che però furono tirate alla luce del sole qualche anno fa, rappresentano un valore archeologico molto importante. «Ricordo un’enorme ancora di ferro che è stata per molto tempo a Giglio Porto — prosegue —. Purtroppo adesso è andato tutto perduto».

Ma la manovra-killer di Francesco Schettino, ha causato anche altri danni al patrimonio storico artistico dell’Isola del Giglio: «Quando la nave ha impattato lo scoglio delle Scole — ha concluso l’archeologo — una frana dovuta allo sbriciolamento di una parte importante della scogliera, ha distrutto un altro relitto che si trovava a 50 metri di profondità, già preda qualche anno di ladri senza scrupoli che avevano rubato delle anfore». Anche in questo caso il silenzio sarebbe stata però la regola da rispettare. Un silenzio assordante, come lo scricchiolìo della carena della nave dopo l’urto con lo scoglio che l’ha fatta ribaltare, poi, su un fianco. Lasciando in mare 32 morti. E affondando per sempre anche la storia.