Grosseto, 1 giugno 2011 - Elisa martedì ha compiuto cinque anni. Insieme a Ikram, Alicia, Ilias, Omar e Selver ha giocato fino a tarda notte. Festa, regali e candeline, però, sono già dimenticate. Da ieri, infatti, lei, i suoi piccoli amici e le rispettive famiglie (sei) non hanno più un tetto sulla testa. Sfrattate. Persone 'travolte' da un destino incredibile. Il dramma di un pugno di disperati, con la loro vita racchiusa in una serie di sacchi di plastica neri accatastati ai bordi della strada, si è consumato ieri mattina in via Ferrucci, nel cuore della Grosseto «bene». Giovani coppie di marocchini, tunisini, egiziani, indiani, turchi, bengalesi e rumeni, cacciati da 'Casa Betania' l’albergo di proprietà del seminario vescovile. La storia è lunga e il finale è amarissimo: sei famiglie (con 11 bambini), senza lavoro e senza casa, prima 'sistemate' all’albergo Blu Maremma di Marina e, dall’inizio di maggio sempre a spese del Comune, nelle camere di Casa Betania. Con una clausola, però: il 31 di maggio tutti fuori.

 

''Abbiamo altre prenotazioni — spiega la responsabile Sonia Palmieri — non è più un nostro problema. L’amministrazione ci ha chiesto un favore e noi glielo abbiamo fatto''. Stop alle chiacchiere. tutti fuori anche in malo modo: un vigile urbano, la polizia che arriva, minacce velate, la paura di finire nei guai. Tra scatole, bimbi che giocano, uomini che imprecano, donne che piangono sostenendosi a vicenda. L’emergenza è scoppiata come un bubbone nelle mani dell’amministrazione, proprio il giorno dopo i festeggiamenti per la riconferma di Bonifazi. Che è corso immediatamente e ha provato a calmare gli animi. ''Lavoravo a Vicenza in una fabbrica di pelle da 13 anni — racconta Hussain, nativo del Bangladesh —. Mi hanno licenziato e sono venuto a Grosseto. Avevo un’attività, ma mi è andata male. Non chiedo una casa, ma lavoro''.

 

I due bimbi di Fazil piangono. Lui di anni ne ha 31, è nato in Turchia, ma è a Grosseto da due decenni: ''Ho lavorato come barista, cameriere, agricoltore. Mi ero comprato una casa che ho dovuto vendere perché non ho più lavoro. Come devo fare?''. Fatih, egiziano, ha lo sguardo perso nel vuoto: ''Sono carpentiere, muratore e pizzaiolo. Lavoro, ma soltanto a nero. Ho una moglie incinta di 8 mesi e deve stare a letto. Adesso cosa farò?''. Arssi arriva da Tunisi, ha 50 anni, il volto scavato dal sole e dalla fatica. Da venti sta in Italia, ma da un anno si gira i pollici senza un perché: ''Sono stato licenziato e nessuno mi vuole. Sono disposto a fare qualsiasi cosa''.

 

Una situazione paradossale, confermata anche da Anna Guidoni, assessore alle politiche della casa, arrivata al capezzale di questi miserabili del terzo millennio: ''Capisco il dramma di queste persone, ma il Comune non può assolutamente fare più nulla — commenta —. Dal primo gennaio a oggi l’amministrazione ha già speso 60mila euro per l’emergenza abitativa. Gli alloggi del Poggio sono tutti occupati e la richiesta sta crescendo mese dopo mese''. Quei ragazzi la guardano e ascoltano. ''Non sappiamo cosa fare, non so nemmeno se esistono alloggi privati che potremmo affittare. Faremo comunque di tutto per non abbandonare queste famiglie''. Che da ieri sera, però, vivono per strada.