{{IMG_SX}}Grosseto, 10 settembre 2008 - L’ agente di polizia municipale e il suo compagno si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, mentre gli altri due uomini hanno spiegato al Gip che loro, con questa storia, non c’entrano proprio nulla. La 'storia' è quella delle sette pistole rubate il 24 marzo 2007 dal Comando della Polizia municipale di Follonica e che, diciotto mesi dopo, ha portato all’arresto dell’agente Cheti Chelini (33 anni, residente a Follonica), del suo ragazzo Vincenzo Petrazzuolo (22 anni, residente a Riotorto), Ciro D’Avino (21 anni, operaio, residente a Follonica) e Francesco Amura (29 anni, residente a Torre del Greco, paese di origine anche degli altri uomini, l’unico già noto alle Forze dell’ordine).

 

Sono finiti in cella su esecuzione di un ordine di custodia cautelare, lo stesso provvedimento che pende anche su un altro uomo, un operaio residente in Sicilia e che all’epoca del fatto lavorava a Follonica come operaio della ditta che eseguiva i lavori di ristrutturazione della piscina comunale. Per il momento è irreperibile, perché al lavoro in Germania. Ieri mattina i quattro arrestati sono comparsi davanti al Gip Pietro Molino per l’interrogatorio a garanzia, ma il loro comportamento è stato diverso. Cheti Chelini e Vincenzo Petrazzuolo, assisititi dall’avvocato Carlo Valle, hanno deciso di non rispondere ad alcuna domanda posta dal magistrato, un atteggiamento che sembra trovare giustificazione nel fatto che il Gip, accogliendo una richiesta del pubblico ministero Stefano Pizza, ha differito il colloquio fra i due e il loro avvocato. Insomma, il legale non ha ancora potuto parlare con loro (lo farà probabilmente oggi, giorno in cui scade il provvedimento di divieto).

 

Si tratta di una misura molto particolare che il nostro ordinamento prevede per cause molto gravi indicate come 'specifiche ed eccezionali misure di cautela'. D’Avino, invece, assistito dall’avvocato Marco Calò, ha risposto solo per dire che aveva sentito parlare di questa intenzione, ma che tutto si risolse in un pour parler e che lui, comunque, non ha saputo più nulla né c’entra qualcosa con quanto accaduto. Calò ha chiesto al Gip la sua scarcerazione o, in subordine, l’obbligo di dimora e il piemme si è riservato di esprimere un parere (che, in ogni caso, non è vincolante). Amura, difeso da due legali di Torre del Greco (Patrizia Magliolo e Luisa Mennella), da parte sua, ha spiegato si essere del tutto estraneo alla vicenda e di non sapere nulla delle pistole.