Mercoledì 24 Aprile 2024

Studi di settore, nessun dietrofront. "Non credete al Fisco amico"

Il tributarista Lupi piccona la nuova direttiva dell’Agenzia delle entrate

Una commercialista al lavoro (Germogli)

Una commercialista al lavoro (Germogli)

Roma, 30 aprile 2016 - «Altro che rivoluzione annunciata. La circolare dell’Agenzia delle Entrate firmata dalla Orlandi è come quella firmata da Befera prima di lei. Sono tutte uguali, tutte buone intenzioni. E ogni volta ci sembra una cosa nuova. Ma non cambia niente. Mi dia retta: fra qualche giorno sarà carta straccia». Il professor Raffaello Lupi, uno dei decani del diritto tributario in Italia, non usa mezze parole. E, il giorno dopo la pubblicazione del provvedimento che dovrebbe servire a rendere più umano il rapporto fisco-contribuente, demolisce punto per punto, senza tanti complimenti, la svolta promessa.

Professor Lupi, dunque, è tutta un’illusione la circolare Orlandi? «Anche io, se fossi stato il direttore dell’Agenzia delle Entrate, avrei scritto le stesse cose. È quello che la gente si aspetta: il fisco amico, la lotta alla grande evasione. È giusto che una circolare contenga espressioni… circolari».

Eppure, si parla di stop alle contestazioni formali, al recupero delle somme minime: non è così? «Che vuol dire? Ci sono soglie di rilevanza/irrilevanza fissate per legge, mi sembra sui 20 euro. E se c’è una procedura informatica della Sogei tarata su 20 euro, non è che il funzionario, di fronte a un credito di 25 euro, può dire: “lasciamo perdere”. Questo non lo può fare neanche la Orlandi».

Ma nel provvedimento si fa rinvio anche a una sorta di approccio più ragionevole per gli errori involontari. «Il punto è un altro. Finché siamo di fronte alla scelta tra vari filoni investigativi, è ovvio che quelli che si prospettano come irrisori vengano lasciati perdere. Ma se si intraprende una certa strada con tanto di verbalizzazioni, allora, una volta fatta un’istruttoria su un determinato contribuente, se poi ci scappa il rilievo minimo, formale, i funzionari sono costretti a registrarlo e sanzionarlo, perché, se non lo fanno, si sminuisce il lavoro fatto».

Proporzionalità e ragionevolezza, in ogni caso, vengono citate anche a proposito dei famigerati studi di settore. «È una frase di stile. Cerca di venire incontro ai lavoratori indipendenti che si sentono vessati. Lo studio di settore era tarato in modo tale che non ci rimetteva nessuno. Ora ci sono quelli che non fanno i soldi previsti dallo studio e che si ribellano. Negli anni delle vacche grasse, invece, si erano abituati ad avere una certa franchigia: se la soglia di credibilità e di congruenza era a 30mila euro, la tendenza era quella di avvicinarsi a quel livello, anche se il guadagno era di 45mila».

Ma allora anche concentrarsi nella lotta alla grande evasione è un falso mito? «È la grande evasione il falso mito. Non esiste se ci si riferisce ai grandi evasori. Esiste se la si intende come evasione di massa. I 100 miliardi di nascosti al fisco derivano da incassi non registrati, fatture fittizie e frodi varie: tutte operazioni realizzate da milioni di contribuenti. L’evasione recuperata, i 14 miliardi, sono, invece, il risultato di imposte dichiarate ma non versate per metà. E per l’altra metà ci sono reinterpretazioni o riqualificazioni di cose che nessuno aveva nascosto. Così sono buoni tutti».

Sarà anche evasione di massa, ma i numeri continuano a indicare imprenditori che in media guadagnano meno dei loro dipendenti. «Ma lo sa chi sono gli imprenditori per il fisco? Sono il fruttivendolo, il meccanico, la lavanderia. Berlusconi o la Marcegaglia non lo sono, sono soci di capitale. Gli imprenditori, per il fisco, sono poveri cristi, ditte individuali, persone che si alzano alle cinque di mattina».

Quale sarebbe stata, allora, la vera svolta nel rapporto fisco-contribuente? «Io avrei evitato di distinguere tra evasori e contribuenti onesti. Non vi sono evasori genetici, dipende dalle opportunità. Nei comportamenti normali prima mangi e poi paghi le tasse».

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