"Firenze, la notte in cui saltarono i ponti" i ricordi di un bimbo nel '44

E' l'anniversario della terribile azione nazista che in ritirata minò mezza città

Il post di Gianfranco Stilci

Il post di Gianfranco Stilci

Firenze, 4 agosto 2015 - "Ricordi la notte fra il 3 e il 4 agosto 1944?", forse in tanti la ricordano per averla letta sui libri di storia ma sicuramente qualcuno potrebbe ancora raccontarla per averla vissuta perché, come nel caso del signor Stilci, dimenticare la notte che ha colpito a morte Firenze è impossibile. A veicolare quei momenti oggi ci sono anche i social, in particolare Facebook, nel quale, il signor Gianfranco Stilci, sul gruppo "Sei di Firenze se..." ha postato il racconto bene dettagliato di quello che ha vissuto sulla sua pelle quando i tedeschi fecero saltare i ponti della città

"Quello che ho visto è rimasto impresso nella mia mente: la strada era piena di sassi e vetri. Cominciai a piangere, mia mamma urlava al mio babbo di non andare. Poi ancora sirene ma queste, ci dissero dei soldati, che erano quelle della tregua che i tedeschi erano già lontani da Firenze". L'udire quella frase deve essere stata la vera Liberazione per il piccolo Gianfranco.

"Avevo 4 anni e mezzo - così inizia il post - abitavo in via dei Canacci a 200 metri dal ponte alla Carraia, il mio ricordo (aiutato anche dai miei genitori nel proseguo del tempo del dopo guerra) parte dalla sera che mia mamma…mi stava mettendo a letto, quando cominciarono ha suonare le sirene, che annunciavano quello che era programmato giorni indietro: "Le truppe tedesche, in ritirata, avrebbero fatto saltare i ponti" lasciando intatto però il Ponte Vecchio ma facendo minare e saltare i palazzi nelle vicinanze del ponte per far sì che ne impedisse il passaggio delle truppe alleate, certamente dopo aver fatto evacuare, tutti gli abitanti di detti palazzi".

Ora sa cosa sarebbe dovuto accadere ma chissà a quattro anni cosa si può pensare, quanto ci si rende conto della realtà: "Le sirene, sembrava che aumentassero di intensità, tanto era la paura ma che poi sembrava, di non sentirle più dalla frenesia di mamma e babbo, di portarci insieme alle altre famiglie che abitavano nello stesso palazzo che avevano anche loro figli della mia età o meno giù al piano terra, dove c ‘era un rifugio. Le mamme si preoccupavano di proteggere i figli e i babbi stavano con gli orecchi tesi ad aspettare lo scoppio delle mine".

"Poi le sirene smisero di "urlare" e fu silenzio. Qui mi ricordo bene anche ora, l’unico rumore che sentivo, era la mia mamma e anche le altre che si preoccupavano di farci sentire protetti facendoci sdraiare su delle assi con delle coperte e stando intorno a noi facendo da scudo. Uno, due, tre sordi boati a un tratto ci fecero sobbalzare, qualche urletto di noi bambini con qualche pianto di paura. I boati diminuivano e aumentava il rumore per la pioggia di detriti e vetri rotti nelle strade adiacenti". 

E il tempo che va al di là di ogni cognizione, che si perde e si mescola con percezioni vaghe di quello che sta accadendo: "Non ricordo quanto tempo siamo stati lì dentro quando i babbi decisero di uscire, era già giorno e uscirono, cauti, fuori e dietro le mamme con noi in braccio". 

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