Firenze, 11 giugno 2012 - La E Street Band sale sul palco sulle note di C’era una volta in America di Ennio Morricone. Per ultimo arriva lui, il Boss. Che dopo aver salutato il pubblico del “Franchi” cambia la scaletta degli precedenti concerti dal vivo e attacca con Badlands, uno dei suoi capolavori. Bruce Springsteen, con tutta l’autorevolezza dei suoi decenni di carriera ma entusiasta come un ventenne, inizia così il suo set dal vivo che ha segnato il suo ritorno a Firenze dopo nove anni. Una partenza con l’acceleratore al massimo a cui ha fatto seguito No Surrender e la traccia iniziale del suo ultimo album Wrecking Ball, quella We take care of our own già entrata nel cuore dei fans.


Anche se la pioggia è caduta subito dopo, sulle note di My city of Ruins, la festa non è stata rovinata. Anzi Springsteen è spesso sceso dal palco per condividere con il pubblico l’acqua che cadeva senza interruzione.
Un concerto di Springsteen è da sempre un mix di vari elementi. La preparazione rigorosa, l’affiatamento con i musicisti, l’energia sul palco, l’assenza di effetti speciali (solo due maxi schermi per “ingrandire” il palco), un set dalla lunga durata fatto soprattutto di belle canzoni.

Nel catalogo di Springsteen, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ma dato che l’ultima produzione discografica, Wrecking Ball, ha visto Springsteen tornare a livelli eccellenti di creatività, ecco che nella scaletta della serata l’album compare con gran parte delle tracce. Brani in cui la crisi, già viene trattata senza sconti, mostrando la differenza tra il sogno americano e la realtà che il paese (e il mondo industrializzato) sta vivendo. Un concetto simboleggiato già in We Take Care of Our Own.

Wrecking Ball parla invece della demolizione dello stadio dei Giants dove la fine dell’edificio simboleggia anche quella della bellezza. Shackled and Drawn è un canto di lavoro che denuncia le azioni degli speculatori. Il testo di Jack of All Trades (annunciata in italiano con un ricordo per le popolazioni colpite dal terremoto), è ancora più duro raccontando la storia di un disoccupato. I banchieri-predatori compaiono anche nella marcia folk-rock Death to my Hometown, mentre il gospel Rocky Ground ha un breve inciso rap in cui si parla di stelle che cadono e di cielo che si ferma. Il gospel torna in Land of Hope and Dreams (nel disco l’ultimo assolo al sax del compianto Clarence Clemons). Tutti testi che Ermanno Labianca, lo storico italiano del Boss, ha raccolto e commentato nel recentissimo Spare Parts (1973-2012) edito da Arcana. Ma se Wrecking Ball è un album in cui Springsteen crede molto, è anche vero che non dimentica i suoi grandi classici. A partire dagli inni rock Born in the Usa e Born to Run a Backstreets, intensa come non mai.

 Un bambino è salito sul palco per cantare con il Boss Waiting on a sunny day mentre una ragazza ha ballato con Bruce Dancing in the dark. Tornando indietro negli anni c’è anche una splendida The River, e quello che nonostante sia di “soli” dieci anni fa è diventato un brano amato dai fans come The Rising.

C’è anche un omaggio agli Stones con un estratto da Honky Tonk Woman, uno a Elvis con Burning Love e un altro agli Isley Brothers e i Beatles insieme con Twist and Shout. Mentre il brano finale è Who’ll Stop the Rain (chi fermerà la pioggia) dei Creedence Clearwater Revival.

In tutto questo la E Street Band suona come il Boss vuole: aspra, brillante, suadente a seconda dei momenti. La dirige come maestro di palco e i musicisti rispondono con obbedienza e complicità: a partire dal festeggiatissimo Little Steven (Steve Van Zandt) a chitarra e voce, all’altro chitarrista Nils Lofgren, al tastierista Roy Bittan, alla sezione ritmica formata da Garry Talent e Max Weinberg, ai fantastici ottoni della E Street Horns. E al sax del nipote di Clarence, Jake Clemons (ricordato con una serie di immagini), investito sin dal primo momento nel suo nuovo ruolo.

Gli oltre 40 mila del Franchi hanno fatto parte di una grande festa, condividendo più di tre ore di grande musica proposta da un cantante-chitarrista che a 62 anni ha voglia di tutto, meno che di smettere.
 

di Michele Manzotti