Laura Morante: "Non mi sono mai sentita bella"

"Sono troppo razionale. Dovrei seguire il cuore"

Laura Morante

Laura Morante

Firenze, 18 marzo 2017 -  IL TEATRO? So solo che avevo proprio bisogno di tornarci. Ne sono passati troppi di anni senza salire sul palcoscenico e un po’ mi mancava. Anche se avevo smesso per un motivo importante: avevo avuto un problema durante una tournée».

Laura Morante: è anche troppo facile dire che è bella e brava. E anche andare contro di lei che detesta le definizioni. Di sicuro è una donna misteriosa, intensa, dolce, intellettuale e drammatica. Figlia di Marcello Morante, scrittore e giornalista, nipote di Elsa Morante, vissuta in mezzo ai libri, alla cultura al bello del pensiero. Quest’anno è tornata con grande successo a teatro grazie a un testo condito di humor nero, intrighi, crimini e infatuazioni, dal titolo “La Locandiera B&B” testo di Edoardo Erba, su uno studio su “La Locandiera” di Goldoni, con la regia di Roberto Andò.

Laura perché lasciare il teatro per anni quando a vederla sembra nata sul palco?

«Avevo avuto un problema durante una tournée: il distacco della famiglia per me era troppo forte. Avevo ancora i figli piccoli, stavo in Francia. Nella metà degli anni ’80 mi ero trasferita a Parigi e non me la sentivo di lasciare i bambini, allora accettavo solo spettacoli che non avessero tour, ma so benissimo che uno spettacolo per ripagarsi deve girare. Allora mi sono decisa ad affrontare una nuova tournée con “The country” di Martin Crimp per la regia sempre di Roberto Andò».

E come è stato tornare in scena?

«È stato bello e anche sperimentale in un certo senso. All’inizio, appunto qualche anno fa, ci ho riprovato con questa pièce firmata da Crimp, grande esponente della drammaturgia inglese contemporanea. Ma non è automatico che un’attrice di cinema arrivi in teatro, questo è sicuro. Con me c’era Gigio Alberti. Comunque è stato dopo questa esperienza che ho deciso di riprovarci».

Un successo personale molto importante: ha cercato qualcosa con caratteristiche particolari?

«In un certo senso, sì. L’anno scorso ci siamo chiesti, appunto, perché non tornare a teatro? Ma questa volta mi sentivo pronta per una cosa più leggera. Ma come sai non è facile trovare un testo che abbia certe caratteristiche, allora con Andò e Marco Balsamo, il produttore, abbiamo chiesto a Erba di scrivere un qualcosa di nuovo. Rielaborando “La Locandiera” in chiave moderna».

Il testo è intrigante.

«Sì, adesso. Ma ci siamo arrivati per gradi perché all’inizio era troppo fedele alla Locandiera, e allora non sarebbe valsa la pena. Così io stessa ho proposto un’idea più noir e finalmente siamo arrivati a questo testo».

È divertente che parli un po’ dialetto.

«Effettivamente Goldoni ambienta La Locandiera in Toscana, anche se nessuno se lo ricorda. Abbiamo un po’ improvvisato, il regista mi ha detto: prova a dirmi le battute in toscano. È piaciuto, e allora abbiamo deciso di fare un toscano di invenzione, un miscuglio tra il dialetto di mia madre nata ad Arezzo, che viveva tra Subbiano e Firenze. E poi un po’ preso dagli amici che ho a Pisa: mi sono ritrovata anche a inventare parole, è quasi un gioco questo esperanto toscano».

Quanto si sente toscana?

«Non lo so. Ho lasciato la Toscana che avevo 17 anni, di sicuro sento queste radici, come quelle di mio padre nato a Roma al Testaccio da origini siciliane. Mi piace portare in scena delle cose dei modi di dire che non si sentono più tipo: come un lume a mano».

Laura, cosa prova ad essere considerata una donna bellissima?

«Veramente quando quando andavo in giro con mia sorella, più rotondetta ed estroversa, e io magra e spigolosa, sentivo dire di lei: ma che bella bambina. Poi passavano a me e dicevano: questa è un tipo. Sono cresciuta con questo assunto che fossi un tipo. Io non ci ho mai troppo creduto alla bellezza e a dire la verità non mi sono mai considerata bella, non ho mai avuto la percezione. Poi sì, certo, mi ha fatto piacere ricevere complimenti, sì. Ma tutto finisce lì. Sinceramente non mi sono mai sentita bella».

È il volto di un certo tipo di cinema: impegnato, intenso, non banale. Le pesa?

«Per niente: ho avuto la fortuna di fare tanti film importanti con i migliori registi italiani. Se devo fare un bilancio devo riconoscere che sono stata veramente fortunata nella mia carriera. E anche all’estero, che dire più che l’Alain Resnais del dopo, di quando è diventato più semplice, poi voglio ricordare John Malkovich. E non aggiungo altro». E tra i migliori registi italiani, Laura Morante la vediamo in coppia con Nanni Moretti. «Lo stimo molto: dovunque e tutti ricordano la collaborazione tra me e lui. Sono molto legata a Moretti con cui ho fatto tre film, e per qualche ragione ‘Bianca’ ha segnato un’epoca. E io in qualche modo mi sono diplomata e sono stata conosciuta nell’ambiente per il cinema d’autore».

Bello, no?

«Fondamentalmente è stato un concorso di circostanze fortunate. Ho partecipato ad alcuni film particolarmente significativi e questo non c’entra con i meriti. Sono stata anche in altri, ma i drammi psicologici e il sentimentalismo di Bianca hanno segnato la generazione degli anni ’80. È stato particolarmente importante per me e per Nanni che ha fatto altri bellissimi film. Ma Bianca resta Bianca».

Ricorda qualcosa di particolare? «A ripensarci sorrido ancora: mi sono ritrovata in questo film che nessuno mi voleva, qualcuno e poi a un certo punto – il produttore Achille Manzotti – disse addirittura, a Moretti: prendi chiunque meno che lei. Allora mi impuntai perche lo volevo fare anche se avevo altre proposte. Ho avuto un buon intuito».

Che mamma è?

«Il rapporto coi miei figli non lo so spiegare: loro dicono che non sono una mamma né autoritaria né decisionista, anzi, mi brontolano un po’ per questo. Ho tre figli: Eugenia Costantini è la più grande e ha 32 anni; poi c’è Agnese Claisse nata nell’88 che ha 29 anni, e il piccolo Stepan di 11 anni. Mi dicono che non sono abbastanza severa».

Eugenia è in teatro con lei ne “La Locandiera B&B”, che effetto le fa? «Un effetto bello, in questo spettacolo ci sono sia mia figlia che la figlia di Andò. Ma voglio specificare che non siamo stati noi a volerle, l’idea è stata tutta del produttore, di Marco Balsamo. Sono orgogliosa perché ha studiato in Francia, e alla Scuola Internazionale di Teatro di Roma. Fin da piccola ha frequentato vari corsi di teatro gestuale, mimo, e danza contemporanea fino a iniziare un percorso di studi a New York. Poi ha fatto parecchie cose come la serie di “Boris” e “Una famiglia perfetta”».

E Agnese? «Ha debuttato nel cinema da piccola, interpretando Martina, in “Ferie d’agosto”, di Paolo Virzì. Lei è attrice e cantante. È musicista e studia ancora al Conservatorio, suona un sacco di strumenti compresa batteria jazz e vorrebbe passare a composizione». Laura, come sceglie i lavori a cui partecipare, quanto ci riflette? «Se c’è un difetto in cui mi riconosco è quello di usare troppo la ragione e troppo poco l’istinto. Perché ho capito che l’istinto non mi fa mai sbagliare e la ragione quasi sempre».

Una domanda un po’ così: cosa pensa della chirurgia estetica? «Ho lasciato detto a tutti, tutta la mia famiglia sa che se mi facessi ritoccare, hanno il diritto di sopprimermi».

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