Massimo Ghini interpreta Walter Veltroni

L'attore è protagonista di Ciao in prima nazionale alla Pergola

Ghini, il regista Maccarinelli e Bonomo

Ghini, il regista Maccarinelli e Bonomo

Firenze, 21 marzo 2017 _ Un doppiopetto grigio, il borsalino in mano, un velo di brillantina sui capelli, lo sguardo basso. È ancora e resterà per sempre un ragazzo degli anni Cinquanta Vittorio Veltroni, perché il suo tempo è fermo a quando morì, a soli 37 anni. Ma per la prima volta e solo per una sera, tornerà dal passato per suo figlio Walter, che in tutti questi anni non ha mai smesso di cercarlo. Inizia così l’emozionante e immaginario incontro tra un padre e un figlio che non hanno fatto in tempo a conoscersi, che diventa anche il racconto di due diverse Italie. Dal libro omonimo di Walter Veltroni edito da Rizzoli, Piero Maccarinelli dirige Ciao, una produzione Fondazione Teatro della Toscana con Q Academy, che in prima nazionale, da venerdì 24 marzo al 2 aprile, sarà alla Pergola con Massimo Ghini e Francesco Bonomo.

Massimo, che effetto le fa essere Walter Veltroni?

«Ci conosciamo da quando avevamo 15 anni, condividevamo la passione della politica, frequentavamo lo stesso liceo. Poi i percorsi professionali ci hanno separato, ma siamo rimasti molto amici. È stato lui a chiedermi d’interpretare questa storia, che per certi versi è anche la mia storia, conoscendo la mia sensibilità e l’affinità delle nostre due vite».

A cosa si riferisce?

«Alla comune mancanza di un padre, che fin da piccolo ho vissuto anch’io, essendo figlio di genitori separati. Ho provato una grande emozione e rivissuto un grande dolore leggendo il libro di Walter, per questo ci ho messo molto a finirlo. Ho incontrato mio padre pochissime volte nella mia vita e anch’io l’ho perso giovane. E purtroppo ci siamo visti con più intensità proprio quando, purtroppo, stava morendo. Sono convinto che questo spettacolo sia in grado di parlare a tutti, proprio perché i due protagonisti potrebbero essere ogni padre e ogni figlio di questo Paese».

Una cosa che sorprende, è che le età dei personaggi sono rovesciate rispetto ai ruoli.

«Anche questo è indicativo di questa storia: il padre è un giovane uomo, interpretato da Francesco, mentre io interpreto il figlio Walter, che ha il doppio dei suoi anni, ma è un figlio e come tale deve ricevere, più che dare. Due generazioni vicine eppure diversissime che affrontano le loro vite, quello che è stato e quello che poteva essere».

Perché sullo sfondo di queste due storie avete messo la Storia, quella con la ‘s’ maiuscola?

«Perché nel dialogo tra i due, che si svolge in un irreale tramonto che non finisce mai, si snoda un pezzo di storia d’Italia. Per questo la messinscena è arricchita di video, tra cui il funerale di Vittorio, e le immagini dell’archivio Rai e dell’Istituto Luce».

Pensa che Walter Veltroni si riconoscerà sulla scena?

«Nella mia carriera ho interpretato tanti personaggi, e per esperienza so che nessuno si riconosce, almeno all’inizio. Ma in questo caso mi sento più libero. Certo, conoscendolo ho bene in mente il suo modo di parlare, di guardare, di muoversi. Ma questo non è e non vuole essere un ritratto».

Chi sono Vittorio e Walter?

«Sono un papà e un figlio cui il destino non ha dato il tempo neanche di farsi una fotografia insieme. Vittorio morì quando suo figlio aveva appena un anno. Sono due persone che scavano nella memoria, l’infanzia dell’uno e la giovinezza dell’altro, in un viaggio attraverso il dolore della perdita e la meraviglia della ricerca delle proprie radici. Walter cerca di indagare il carattere e la storia del padre, capire se è come gliel’avevano raccontata e l’aveva immaginata. Sono due uomini alla ricerca di perché mai trovati, e forse introvabili». 

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